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Afghanistan: l’ombra del terrore islamista a un anno dalla caduta di Kabul

(Roma, 15 agosto 2022). È passato un anno dal ritorno al potere dei Talebani a Kabul e dall’evacuazione precipitosa e sgangherata delle forze occidentali dall’Afghanistan. I talebani, nonostante la retorica e la propaganda sui cambiamenti che avrebbero apportato e alle promesse di essere “diversi” rispetto al passato, si comportano in maniera analoga agli stessi talebani che hanno governato il Paese dal 1996 al 2001. Secondo Human Rights Watch, le autorità talebane hanno imposto severe restrizioni ai diritti di donne e ragazze, represso i media e detenuto arbitrariamente, torturato e giustiziato sommariamente critici e presunti oppositori, tra i vari abusi. Da quando hanno preso il potere, i talebani hanno imposto regole che impediscono alle donne e alle ragazze di esercitare i loro diritti fondamentali, dal diritto di espressione, all’istruzione.

La situazione economica del Paese è disastrosa, soprattutto perché i governi occidentali hanno tagliato gli aiuti internazionali e limitato le transazioni economiche. Più del 90% degli afghani è in stato di insicurezza alimentare da quasi un anno, con milioni di bambini che rischiano di soffrire di malnutrizione. Come se non bastasse, l’Afghanistan continua a essere un luogo dove i gruppi terroristici internazionali o perlomeno alcuni membri di queste ultime possono trovare rifugio, anche contro la volontà degli stessi talebani, rivali – almeno sulla carta – delle ramificazioni afghane di Isis e al-Qaeda.

Le prospettive dell’Afghanistan dopo l’uccisione al-Zawahiri

Come ha riportato Paolo Mauri su InsideOver, domenica 31 luglio, alle 6:48 ora dell’Afghanistan, una coppia di missili Agm-114 “Hellfire” R9X, soprannominati “blade bomb” o anche “ninja bomb”, lanciati da un drone che si ritiene essere un Mq-9 Reaper, hanno ucciso Ayman al-Zawahiri, leader formale di al-Qaeda, mentre stava per uscire sul balcone di un appartamento nel quartiere di Shirpur a Kabul, dove viveva con i membri della sua famiglia. Alla fine di luglio, gli Stati Uniti hanno partecipato a una conferenza regionale a Tashkent, in Uzbekistan, incentrata sul tema del terrorismo, dove il ministro degli Esteri talebano Amir Khan Muttaqi ha affermato che il suo regime ha mantenuto gli impegni per non consentire all’Afghanistan di essere utilizzato come base per il terrorismo transnazionale. La presenza di al-Zawahiri a Kabul sembra smentire le osservazioni di Muttaqi e la loro reale capacità di arginare le formazioni terroristiche, che continuano ad essere presenti sul suolo afghano, a maggior ragione dopo l’evacuazione della coalizione internazionale a guida statunitense dal Paese.

Scontro sulla presenza di al-Qaeda in Afghanistan

L’uccisione di Al-Zawahiri, tra le menti degli attacchi dell’11 settembre 2001, imbarazza i talebani, perché secondo quanto affermato dal governo americano, a seguito dell’attacco che ha ucciso il leader di al-Qaeda, una parte dei talebani era a conoscenza della presenza di Al-Zawahiri nell’area, in “chiara violazione dell’accordo di Doha”, e hanno persino preso provvedimenti per nascondere la sua presenza, limitando l’accesso al rifugio e ricollocando rapidamente i membri della sua famiglia, compresi sua figlia e i suoi figli, rimasti illesi nell’attacco che ha ucciso il terrorista 71enne. Gli Stati Uniti, infatti, non hanno allertato i funzionari del governo talebano prima dell’attacco drone, evidentemente non ritenendo i talebani dei partner affidabili in tal senso.

Secondo la Cnn, sarebbe stato impossibile per Al-Zawahiri essere a Kabul senza il sostegno di almeno un piccolo numero di talebani e della rete Haqqani. Sulla reale forza di al-Qaeda in Afghanistan, tuttavia, si registrano pareri e rapporti discordanti. Secondo quanto riportato nei giorni scorsi dal New York Times, le agenzie di spionaggio americane ritengono che al-Qaeda non abbia ricostituito la sua presenza in Afghanistan dal ritiro degli Stati Uniti lo scorso agosto e che solo una manciata di membri di lunga data della formazione terroristica siano rimasti nel Paese. Il gruppo terroristico, affermano, non ha la capacità di lanciare attacchi dal Paese contro gli Stati Uniti, secondo il rapporto. Tuttavia, potrà fare affidamento, almeno per ora, su una schiera di fedeli affiliati al di fuori della regione per realizzare potenziali complotti terroristici contro l’Occidente.

Secondo i repubblicani, viceversa, il ritiro degli Usa dal Paese messo in atto dall’amministrazione Biden (ma pianificato da Donald Trump) ha permesso ad Al-Zawahiri di tornare tranquillamente nella capitale, segnale evidente della politica fallimentare della politica estera di Biden, che potrebbe permettere ad al-Qaeda di ricostruire campi di addestramento e tramare attacchi nonostante la promessa dei talebani di negare al gruppo un rifugio sicuro. A sostegno di questa tesi c’è un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato la scorsa primavera, secondo il quale al-Qaeda aveva trovato “maggiore libertà d’azione” in Afghanistan da quando i talebani hanno preso il potere. Il rapporto delle Nazioni Unite suggerisce che la maggior parte dei leader di Al Qaeda si trovano attualmente nella regione orientale dell’Afghanistan, dalla provincia di Zabul a nord verso Kunar e lungo il confine con il Pakistan. La regione di confine tra Pakistan e Afghanistan è fiancheggiata da colline inospitali, ideali per nascondersi.

Cos’è l’Isis Khorasan

Oltre ad Al Qaeda, non va dimenticata la presenza nel Paese dell’Isis-Khorasan, il ramo afghano di Daesh, chiamato anche Isis-K o Iskp. La variante afghana dell’Isis ha una genesi relativamente recente ed è andata raccogliendo proseliti negli ultimi cinque anni, rendendosi responsabile dei principali attacchi alla capitale, “contendendosi” con i talebani il record di attentati verso target militari e civili. La nascita del gruppo è da registrarsi nella provincia del Khorasan, al confine con il Pakistan. L’Isis-k vede i talebani come un nemico inconciliabile che deve essere sconfitto militarmente. L’inimicizia tra i due gruppi è stata aggravata dalle continue ostilità militari, ma la causa principale rimane la loro differenza settaria. L’Isis-k aderisce all’ideologia jihadista-salafita, mentre i talebani, invece, aderiscono a una scuola settaria islamica sunnita, la Hanafi madhhab, che l’Isis considera troppo debole. I due gruppi differiscono per l’approccio relativo al nazionalismo: per chi vuole costruire uno stato-islamico transnazionale, il nazionalismo dei talebani rappresenta un ostacolo e un pericolo.

Nonostante i talebani neghino la presenza dell’Isis-k, stando alle ultime notizie il numero di miliziani che ha aderito allo Stato Islamico sarebbe addirittura aumentato. Il gruppo è responsabile dell’attentato all’aeroporto di Kabul del 26 agosto e di oltre 77 attacchi terroristici nei primi quattro mesi del 2021. Nel 2022, l’attività della formazione terroristica si è espansa, rivendicando recentemente anche la responsabilità di attacchi missilistici contro l’Uzbekistan e il Tagikistan sferrati proprio dal territorio dell’Afghanistan (il che desta preoccupazione anche in Russia e in Cina). Il ritorno dei talebani al potere, nonostante la grande inimicizia settaria fra i due gruppi, ha rappresentato una grande opportunità per l’Isis-k: la maggior parte dei prigionieri appartenenti a Daesh è infatti stata rilasciata o è stata in grado di fuggire da varie prigioni afghane, e molti si sono plausibilmente riuniti al gruppo. Fino al 2019, grazie al supporto aereo degli Stati Uniti, combinato con le operazioni militari afghane, i talebani sono riusciti a prendere di mira in maniera efficace l’Isis afghano e ad arginare la sua presenza: ora devono cavarsela da soli, e non sembra affatto un’operazione semplice.

Di Roberto Vivaldelli. (Il Giornale/Inside Over)

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