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L’esercito di radicalizzati che spaventa i servizi segreti francesi

(Roma, 12 maggio 2021). In Francia è dal 21 aprile che stampa, pubblico e politica discutono della possibilità di una guerra civile etno-religiosa nel prossimo futuro. Il dibattito nasce per via della pubblicazione di una lettera aperta su Valeurs Actuelles da parte di 20 generali, 100 ranghi alti e più di 1000 soldati appartenenti a vari gradi, ciascuno convinto del fatto che “se nulla verrà fatto” si verificherà “un’esplosione”. Missiva alla quale se n’è poi aggiunta un’altra inviata il 9 maggio, questa volta da parte di militari in servizio attivo.

Le ragioni dei firmatari, tutt’altro che fantapolitiche, possono essere comprese attraverso una disamina del fenomeno da loro denunciato, ovvero l’avanzare incessante e inarrestabile dell’”islamismo e [del]le orde delle banlieue” e, con esso, il rischio che una quantità crescente di territori francesi venga “sottomessa a dei dogmi contrari alla costituzione”. Delineato l’attuale stato di salute delle periferie della République e analizzata la perigliosità del narco-banditismo, è giunto il momento di esplorare il problema più pungente: il separatismo islamista.

Un’armata di potenziali terroristi nelle banlieue

Sebbene la presidenza Macron abbia accolto ostilmente la lettera, perché ritenuta simil-golpista ed elettoralmente vantaggiosa per la destra, urge sottolineare e ricordare come sia stato lo stesso inquilino dell’Eliseo a denunciare il cimento alla tenuta della Repubblica rappresentato dal cosiddetto separatismo islamista, dando semaforo verde ad una lotta senza quartiere all’estremismo islamico e all’inizio di un processo di nazionalizzazione dell’islam francese.

In sintesi, le forze armate non hanno inventato una minaccia dal nulla: il rischio di un’implosione civile trainata da un tesissimo stato endemico costellato di guerre civili molecolari e attentati è concreto, tangibile e percepito. Non a caso, secondo un sondaggio condotto da Harris Interactive per LCI TV all’indomani della lettera aperta, l’86% degli intervistati pensa che in certe aree della nazione la legge della Repubblica non trovi applicazione, l’84% concorda sul fatto che la società stia divenendo crescentemente violenta, il 73% condivide l’idea che la nazione stia andando incontro alla disintegrazione, un incredibile 49%, cioè un francese su due, “è favorevole all’intervento delle forze armate per ristabilire l’ordine” e, nel complesso, sei intervistati su dieci sostengono l’iniziativa dei militari.

I numeri possono fornire un’esplicazione ai timori della società e all’inquietudine delle forze armate. Perché la Francia è, cifre alla mano, il Paese del Vecchio Continente più colpito dal fenomeno terroristico in termini di vittime (più di 290 morti e oltre 900 feriti negli ultimi nove anni), di frequenza degli attentati (più di 45 dal 2015 ad oggi e 33 quelli sventati nell’ultimo quadriennio), di attenzione ricevuta dall’internazionale jihadista (concentra il 43,9% degli attentati e il 42% delle vittime del terrorismo islamista in Europa dell’ultimo decennio), di detenuti condannati per reati di terrorismo islamista (505) o monitorati per sospetta radicalizzazione (702), di cittadini partiti alla volta del Siraq dopo aver giurato fedeltà allo Stato Islamico (almeno 1.910) e di quartieri considerabili dei feudi degli sceicchi del terrore (150) o esposti a tale rischio (751).

Le cifre del fenomeno terroristico di stampo jihadista in Francia sono oggettivamente spaventevoli, nonché indicative del fallimento del modello d’integrazione basato sull’assimilazionismo, ed un quadro possibilmente più cupo può essere dipinto a mezzo dell’introduzione dei numeri riguardanti l’esercito ombra di terroristi, estremisti e radicalizzati che infesta le periferie delle metropoli d’Oltralpe:

  • Almeno 300 gli imam stranieri, in larga parte provenienti (e retribuiti) da Turchia, Marocco e Algeria, che sarebbero pericolosi per la sicurezza nazionale e per i quali è stato predisposto il rimpatrio nell’anno in corso;
  • 350 i cittadini francesi in attesa di recupero dalla Siria, 200 dei quali bambini e/o minorenni, e 456 quelli che hanno fatto ritorno nell’ultimo biennio;
  • 236 gli stranieri e/o gli immigrati illegali identificati come radicalizzati in data gennaio 2021, dei quali 113 espulsi, 83 in attesa di un’azione da parte delle autorità e 35 incarcerati;
  • 250 i detenuti nelle carceri francesi per reati legati al terrorismo islamista il cui fine pena è previsto fra quest’anno e il 2022 – e che non sono stati reintegrati, ergo de-radicalizzati;
  • Circa 15mila i soggetti sorvegliati dalle autorità perché in odore di terrorismo e/o radicalizzazione;
  • Almeno 23 i casi accertati di ex militari, specialmente provenienti dai reparti speciali e/o dalla Legione straniera, che negli ultimi nove anni hanno abbandonato la divisa per arruolarsi in organizzazioni terroristiche, in primis nello Stato islamico.

I luoghi di ritrovo dei soldati del jihad

I numeri di cui sopra, relativi alla dimensione umana dell’esercito ombra, potrebbero essere complementati da quelli concernenti i cosiddetti “luoghi di radicalizzazione” (lieux de radicalisation), che, erroneamente immaginati come moschee e scuole coraniche, possono essere, in realtà, centri culturali, palestre, centri di aggregazione giovanile, esercizi commerciali, ristoranti e sedi di organizzazioni nongovernative ed enti caritatevoli.

Perché i soldati dell’esercito ombra che turba i sonni di servizi segreti e forze armate non ramingano soltanto fra luoghi di preghiera e scuole religiose, in quanto protendono ad operare alla luce del giorno, organizzando attentati davanti ad un kebab o predicando il verbo del jihadismo nei centri sportivi. Emblematico, a quest’ultimo proposito, che l’assassino di Samuel Paty avesse frequentato una palestra di Tolosa nota per essere il punto di ritrovo di soggetti radicalizzati.

Non esiste una stima certa ed affidabile della numerosità dei luoghi di radicalizzazione, ma le cifre in materia di sequestro ed apposizione dei sigilli sono magniloquenti: 73 chiusure coatte nei primi dieci mesi del 2020, per un totale di 394 a partire dal 2017. La vera domanda, che dovrebbero porsi anche le autorità, è la seguente: le serrate risolvono il problema o lo trasferiscono altrove, da un quartiere all’altro? La celerità con cui territori perduti e zone urbane sensibili vanno diffondendosi, in assenza di misure anti radicalizzazione e pro-integrazione realmente incisive, sembra fornire ed essere essa stessa la risposta.

Emanuel Pietrobon. (Inside Over)

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