Iraq: assalto al consolato a Karbala, gli sciiti iracheni contro l’Iran

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(Roma, 10 maggio 2021). L’assalto contro il consolato iraniano a Karbala, compiuto questa notte da parte di un gruppo di manifestanti iracheni, ha riportato alla luce le tensioni tra la popolazione sciita irachena residente nel sud dell’Iraq e l’Iran, sostenitore delle milizie della Mobilitazione popolare sciita (Pmu) ritenute responsabili di omicidi mirati contro attivisti e giornalisti e attacchi contro civili. A seguito degli incidenti, il ministero degli Esteri dell’Iran ha convocato oggi l’ambasciatore dell’Iraq a Teheran, Nasser al Karawi. In un comunicato, la diplomazia di Teheran afferma che il direttore generale del dicastero ha fatto appello al governo iracheno affinché adotti misure per proteggere le sedi diplomatiche iraniane. Secondo quanto riferito dalla stampa irachena, le forze di sicurezza hanno sparato munizioni vere per disperdere i manifestanti che nella notte hanno circondato il muro perimetrale del consolato appiccando diversi incendi, con un bilancio di almeno dieci feriti.

A scatenare l’assalto contro il consolato iraniano l’assassinio, attribuito alle milizie sciite, del noto attivista Ehab al Wazni, ucciso l’8 maggio a Karbala, città simbolo dell’Islam sciita iracheno insieme a Najaf. Organizzatore delle proteste anti-governative del movimento Tishrin (ottobre) che hanno scosso l’Iraq nell’ottobre del 2019, Wazni era un noto critico e forte oppositore delle milizie sciite sostenute dall’Iran e accusate di aver represso nel sangue le manifestazioni del 2019, provocando oltre 500 morti e migliaia di feriti. Secondo quanto riporta la stampa irachena, altre manifestazioni contro l’Iran sono avvenute tra l’8 e il 9 maggio a Bassora, Nassiriya e Najaf, confermando una situazione di tensione che potrebbe sfociare in nuovi violenti scontri nel sud del Paese. Preoccupa, infatti, l’attacco, avvenuto 24 ore dopo l’assassinio di Wazni, al giornalista iracheno Ahmed Hassan, colpito alla testa da colpi d’arma da fuoco a Diwaniyah, capoluogo del governatorato di Al Qadisiyah, una delle province del sud dell’Iraq. L’uomo, inviato dell’emittente satellitare “Al Furat”, è stato colpito con almeno due proiettili alla testa ed è stato trasportato in gravi condizioni in ospedale.

Wazni e Hassansono le ultime vittime di un’ondata di omicidi e attacchi contro attivisti e giornalisti avvenute principalmente nel sud del Paese e mai rivendicate ufficialmente. Uno dei più importanti commentatori politici assassinati è stato Hisham Al Hashimi, ucciso a colpi d’arma da fuoco fuori dalla sua casa di Baghdad nel luglio 2020. Altre due morti, attribuite dagli attivisti del movimento Tishrin alle milizie sciite filo-iraniane, sono state quelle del giornalista Ahmad Abdessamad, 37 anni, e del suo cameraman Safaa Ghali, 26 anni, che avevano seguito le proteste antigovernative nella loro città natale di Bassora, uccisi entrambi a colpi di arma da fuoco nel gennaio 2020, mentre parcheggiavano la loro auto nei pressi di una stazione di polizia.

Le proteste contro l’Iran giungono nel pieno di un cambio di fronte geopolitico da parte del premier iracheno, Mustafa al Kadhimi. Dopo la sua nomina nel maggio 2020, il premier ha cercato di limitare l’influenza di Teheran sul Paese, per lo più condotta tramite le milizie della Mobilitazione popolare sciita (Pmu) il cui potere è cresciuto in modo quasi incontrollabile durante il governo di Adel Abdul-Mahdi. Al Kadhimi ex responsabile dei servizi segreti iracheni e considerato vicino agli Stati Uniti, ha tentato in vari modi di contenere le azioni delle milizie sciite – in particolare la repressione violenta di manifestazioni nel sud e il lancio di razzi contro edifici diplomatici e basi statunitensi – chiedendone il disarmo e spiccando mandati d’arresto per alcuni leader, tra cui Abu Ali al Askari, leader delle Brigate Hezbollah in Iraq, ancora a piede libero. Il premier iracheno non si è limitato ad un’azione interna, ma ha chiesto sostegno ai Paesi vicini, rilanciando i rapporti con i Paesi del Golfo, in particolare con l’Arabia Saudita, storico rivale regionale della Repubblica degli ayatollah.

Oltre alla sicurezza, pesa anche la questione della dipendenza energetica di Baghdad da Teheran: l’Iraq importa infatti circa il 40 per cento del suo fabbisogno di energia elettrica e di gas dal vicino iraniano, e deve alla Repubblica islamica circa 7 miliardi di dollari per forniture arretrate mai pagate. I contatti regionali instaurati da Al Kadhimi puntano anche a diversificare le fonti di gas ed energia, tramite accordi con i Paesi del Golfo, la Siria e anche Egitto e Giordania, con cui il premier iracheno ha lanciato un progetto di integrazione economica e commerciale ribattezzato con il suggestivo nome di “Nuovo Mashreq” (il Levante arabo). Proprio di recente, il governo Kadhimi ha lavorato per una mediazione tra Teheran e Riad ospitando a partire dal 9 aprile diversi incontri tra funzionari dei due Paesi a Baghdad. I colloqui sono stati confermati sia da parte saudita che iraniana e sono i primi dall’interruzione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi nel 2016.

Redazione. (NovaNews)