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Il petrolio in Siria dal punto di vista di Damasco: Teheran offre, Washington ruba

(Roma, 13 aprile 2021). L’Iran ha inviato alla Siria tre petroliere cariche di greggio, volte a risolvere la crisi dei derivati di petrolio che ha causato frequenti interruzioni di corrente e problemi per l’intera popolazione. Da parte sua, il presidente siriano, Bashar al-Assad, ha rivolto critiche contro gli Stati Uniti, accusandoli, ancora una volta, di aver derubato le risorse petrolifere del proprio Paese.

Stando a quanto riporta il quotidiano al-Araby al-Jadeed, le tre petroliere iraniane sono giunte in Siria, presso il porto di Baniyas, l’11 aprile, portando nel Paese circa tre milioni di barili di petrolio. In realtà, già il 7 aprile scorso, Teheran aveva inviato una prima imbarcazione con a bordo quasi 900.000 barili di greggio, che hanno consentito alla raffineria di Baniyas di riprendere le proprie attività dopo un blocco durato circa un mese. Ad oggi, ha affermato il direttore generale, Mahmoud Qassem, la raffineria è ritornata ad essere completamente operativa e a produrre tutti i derivati previsti. Secondo il governo damasceno, il carico iraniano contribuirà a coprire il fabbisogno interno di benzina, gasolio, carburante e gas per almeno due mesi.

Parallelamente, il 12 aprile, il presidente siriano, Bashar al-Assad, ha accusato le forze statunitensi stanziate nel Nord-Est della Siria di aver derubato petrolio siriano, dopo che un convoglio di Washington, composto da circa 41 carri armati, è stato visto uscire dalla periferia di Hasakah e dirigersi verso i territori iracheni, passando per il valico, definito illegale, di al-Waleed. Si pensa che i veicoli fossero carichi di “petrolio rubato”. Il giorno precedente, l’11 aprile, un altro convoglio, composto da quasi 18 veicoli è stato visto attraversare la medesima regione.

Sono le Syrian Democratic Forces (SDF), sostenute dagli Stati Uniti, a controllare circa il 70% delle ricchezze petrolifere siriane, concentrate soprattutto dentro e fuori il giacimento di Rmelain, situato nei pressi dei confini turco e iracheno, e nel giacimento di al-Omar, posto più a Sud, nella periferia di Deir Ezzor, ritenuto essere il maggiore giacimento in termini di superficie e capacità produttive. Un altro è quello di al-Tank, classificato come secondo, situato nella periferia Est di Deir Ezzor. Qui si trova anche il giacimento di gas di Kuniku, sede del maggiore impianto di trattamento del gas, altresì impiegato per la produzione di energia elettrica. Stando a quanto riportato da al-Araby al-Jadeed, gli esperti stimano che l’area di Rmelain ospiti circa 1322 pozzi petroliferi a cui si aggiungono altri 25 di gas, situati nelle vicinanze.

Prima dello scoppio del conflitto siriano, il cui inizio risale al 15 marzo 2011, la produzione petrolifera della Siria ammontava a circa 380.000 barili di greggio al giorno. Ora, il Paese non produce più di 60.000 barili quotidianamente, prodotti in raffinerie di fortuna e successivamente trasportati in oleodotti guasti, le cui perdite causano inquinamento ambientale. Alla luce di ciò, dall’inizio del conflitto, il settore del petrolio e del gas in Siria ha subito gravi perdite, pari a circa 91,5 miliardi di dollari, a causa delle battaglie, del calo della produzione e della perdita del controllo sui principali giacimenti, a cui vanno ad aggiungersi le sanzioni “occidentali”. Queste ultime hanno altresì provocato ritardi nell’arrivo delle forniture dei derivati di petrolio, portando il Ministero del Petrolio a ridurre del 15% le quantità di benzina distribuite nei singoli governatorati, e a diminuire del 20% quelle di gasolio. Tra le conseguenze vi è stata un’impennata dei prezzi, mentre la popolazione si è precipitata in massa presso i distributori. Il prezzo di un litro di gasolio ha raggiunto quota 1500 lire, mentre quello della benzina 3500 lire.

Piera Laurenza. (Sicurezza Internazioale)

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