(Roma il 23 gennaio 2021). Dai successi in Iraq alla nomina a vice capo dello staff dell’esercito nel 2012, arrivando alla promozione a capo del Comando Centrale voluta da Obama. La personalità e la carriera dell’uomo a cui si affida Joe Biden.
Primo afroamericano a guidare un corpo d’armata in battaglia, primo afroamericano a comandare un intero teatro di guerra, il generale Lloyd Austin, a coronamento di un curriculum già illustre, è ora il primo afroamericano alla guida del Pentagono.
La maggioranza con la quale è stato confermato dal Senato (93 voti favorevoli contro 2: i repubblicani Mike Lee e Josh Hawley) dà la misura della stima bipartisan della quale gode il « generale silenzioso », come viene definito sui media Usa.
E fu proprio la sua personalità, imperturbabile e di poche parole, a colpire il presidente Usa, Joe Biden, quando lo conobbe, nel 2010. Austin era allora al comando del contingente Usa in Iraq e aveva già stretto un rapporto di amicizia con Beau, il figlio di Biden, al quale era accomunato dalla fede cattolica. Biden era stato incaricato dall’allora presidente, Barack Obama, di sovrintendere al ritiro di 150 mila truppe dal Paese mediorientale invaso nel 2003. Austin non si limitò a portare a termine il lavoro, scrisse Biden in un articolo su ‘The Atlantic’ nel quale, lo scorso dicembre, spiegò la sua scelta.
Per questo compito il « generale silenzioso » non fece ricorso « solo alle abilità e alla strategia di un vecchio soldato », affermò Biden, « ma lavorò da diplomatico, costruì relazioni con le nostre controparti irachene e con i nostri partner nella regione »; un lavoro – concluse – da « uomo di Stato ».
Fu una tragedia a dare una svolta alla carriera di Austin. Il 23 marzo 1994 nella base aeronautica di Pope Field, in North Carolina, un C-130 Hercules, dopo essersi scontrato con un F-16 Falcon poi atterrato in sicurezza, finì su una rampa dove si trovavano due battaglioni di 500 soldati che dovevano svolgere un’esercitazione. In 23 morirono e piu’ di 80 rimasero feriti.
I due battaglioni erano guidati da due comandanti che erano stati insieme cadetti a West Point e avrebbero visto i loro destini incrociarsi anche in futuro: il tenente colonnello Stanley McChrystal e il tenente colonnello Lloyd Austin. Entrambi furono decorati per il loro impegno nella ricostruzione delle unita’ ed entrambi, per i risultati ottenuti, furono ritenuti adatti a più alto incarico.
Se quella di McChrystal fu una controversa parabola, l’ascesa di Austin fu silenziosa ma costante. La svolta vera arriva con l’invasione dell’Iraq nel 2003, quando Austin guida l’attacco della seconda brigata della terza divisione di fanteria a Baghdad. « Austin è stato il cervello dell’assalto a Baghdad », raccontò un alto ufficiale dell’esercito a Foreign Policy, « spingeva sempre. Spingeva. Spingeva. Spingeva. E’ stato uno dei migliori comandanti che abbia mai visto all’opera in combattimento ».
Chiusa nel 2011 la missione della quale era diventato comandante, Austin diventa vice capo dello staff dell’esercito nel 2012. Nel 2013 Obama lo promuove a capo del Comando Centrale e gli affida l’elaborazione della strategia per battere lo Stato Islamico.
Austin abbandona la dottrina della « controinsorgenza », ovvero addestrare contingenti locali da scagliare contro i propri obiettivi, e punta sui raid mirati nelle centrali di comando dei terroristi. Una scelta controversa che gli attiro’ diverse critiche, in particolare quelle del repubblicano John McCain, con il quale avrebbe avuto accese divergenze in futuro su altri dossier, a partire dallo Yemen e dal rapporto con l’Arabia Saudita.
La principale sfida che attende Austin è ora il confronto con una Cina sempre più aggressiva. Più una partita a scacchi che il prodromo di un confronto aperto: oltre alla strategia militare servira’ anche abilita’ diplomatica. Ed e’ anche per questo che Biden ha scommesso sul « generale silenzioso ».
Francesco Russo. (AGI)
(Foto-Geopolitica.Info)