Nizza, Charlie Hebdo, e la libertà di essere orribili

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(Roma 31 ottobre 2020). La diffusa opinione che le vignette di Charlie Hebdo rappresenterebbero un brodo di coltura per il terrorismo  somiglia a quella di chi pensa che la minigonna faciliti lo stupro. Tra i valori non negoziabili che la Francia ha insegnato all’Occidente c’è quello della laicità, più che del laicismo, e tutti poggiano sull’architrave della libertà di espressione. Dire che Macron se l’è cercata, con la sua difesa del foglio satirico parigino, rappresenta un grave equivoco e un ribaltamento plateale del rapporto di causa-effetto. Nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, è il paravento per una torsione democratica che non solo non dobbiamo permettere, ma non dobbiamo concedere agli estremisti islamici.

Le copertine di Charlie su Maometto erano orribili? Certo. Specie se sei musulmano. Quelle sull’Italia dopo il terremoto, con il sangue dei morti paragonato al sugo, irricevibili? Ovviamente. Specie se sei italiano. I motteggi contro il Papa, le suore, altre religioni assortite, potevano risultare disturbanti? Se sei cattolico, di più. Perché di qualunque evenienza satirica è difficile dire che « non fa ridere ». Spesso fa ridere alcuni, non altri. Dipende da quanto ti tocca.

Ma c’è una differenza ancora più decisiva. Che  dopo la pubblicazione, nessun italiano è mai entrato nella sede del giornale che le ha stampate per giustiziarne gli autori. E che nessun cattolico si è messo a sgozzare innocenti per lavare una presunta onta scritta con l’inchiostro.

Delle due, dunque, l’una: l’emancipazione non tanto culturale, ma esperienziale, di chi con la democrazia ha una consuetudine più lunga, va onorata continuando a difendere i valori che da noi sono ben riposti nella Costituzione all’altezza dell’articolo 21.

Oppure, mettiamo un tetto. Fissiamo delle regole di buon gusto, non foss’altro che per paura, a quel che si può dire. Sostituiamo l’opportunità al codice penale, che al momento stabilisce i limiti di ciò che è pronunciabile e cosa no.

A quel punto però si pone la domande delle domande: chi li decide, questi limiti?

Chi decide dove sia la decenza? Chi mette il punto di non ritorno oltre il quale devono valere la censura o l’autocensura? Perché mica ce n’è una sola, di soglia da superare. Che tu sia cattolico, islamico, italiano, sammarinese, persino tifoso del Bologna, la tua percezione del sacro non è la stessa di quello che ti sta accanto. Figurarsi del legislatore. O del giudice.

Ma poi: ne basterebbe uno ? Chi dovrebbe stilare il codice di auto-condotta? Nulla contro Vittorio Feltri, per dire. Ma se a lui danno fastidio i musulmani, e lo scrive tutti i giorni a caratteri di scatola, io non avrei mai pubblicato il titolo « Vaffanmerkel ».

Per sua fortuna, mia, e di tutti, non ho potuto impedirglielo.

Da queste parti, dopo che è diventato l’Oriana Fallaci d’Oltralpe, si porta molto bene il filosofo francese Houellebecq, che da molti libri in qua sembra nient’altro che una copia senza battute del comico Dieudonné. I suoi testi sono ormai riferimento per la nostra Destra sovranista, quella che chiede dimissioni di ministri perché un tizio sbarcato in Italia è andato a spargere sangue in Francia, contando sul win-win: governano gli altri, li accusano di negligenza e di favoreggiamento dell’invasione. Ci fossero stati loro, ne avrebbero approfittato per sollecitare qualche escalation autoritaria.

Il Bignami più noto di Houllebecq si intitola « Sottomissione ».

Ecco: non riesco a immaginare nulla di più sottomesso che intimare a qualcuno di nascondere i propri disegni perché qualcuno se ne fa schermo per uccidere. Siamo più forti di così. Dovrebbero esserne consapevoli anche quelli che, appunto, cianciano ogni secondo di « superiorità culturale ».

È un concetto rozzo. Ma anche se fosse, è arrivato il momento in cui ci tocca di dimostrarlo. Restando liberi.

Luca Bottura. (La Repubblica)