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Afghanistan: la prova di forza dei talebani che sentono vicina la vittoria

(Roma 12 Ottobre 2020). L’incredibile parata in pieno giorno in una città della provincia di Logar conferma i timori di ciò che potrà accadere quando sarà completato il ritiro Usa annunciato da Trump per Natale. I colloqui con il governo di Kabul si sono arenati, i fondamentalisti sono pronti a riconquistare il Paese.

Prove tecniche del futuro prossimo? Dopo quasi vent’anni di guerra, i talebani sentono di essere vicini alla vittoria ed escono allo scoperto. Lo dimostra l’incredibile parata che ha accompagnato il governatore ombra della provincia di Logar, nell’Est del Paese. In pieno giorno e nel cuore di una città, decine di veicoli nuovi di zecca e motociclisti con le bandiere al vento scortano il dignitario della resistenza fondamentalista che ora vuole tornare al potere. Quello che rischia di accadere in molte zone dell’Afghanistan dopo il ritiro americano, che secondo un tweet di Donald Trump sarà completato entro Natale.

È l’effetto dell’accordo siglato a Doha nello scorso febbraio tra il plenipotenziario statunitense e i talebani. La seconda fase doveva portare allo stesso tavolo i fondamentalisti e il governo di Kabul, ma si è arenata per mesi intorno allo snodo dello scambio di prigionieri. E nel frattempo la Casa Bianca ha prima deciso di ridurre i suoi militari, poi di riportarli tutti in patria. Una scelta che rischia di lasciare campo libero agli integralisti, che nonostante le promesse di tregua, continuano negli attentati mirati contro le figure chiave del governo. Pronti a riconquistare tutto.

Il video della parata – analizzato da Bill Roggio di Long War Journal – è impressionante, perché testimonia l’efficienza delle schiere talebane. I motociclisti precedono una lunga processione di station wagon Toyota nuove di zecca. Molti miliziani impugnano moderne armi statunitensi. Alcuni sembrano appartenere alla Red Unit, il reparto speciale composto da commandos addestrati al combattimento notturno.

Non sono più i guerriglieri in ciabatte che si nascondevano sulle montagne, limitandosi ad attacchi mordi e fuggi: quella che scende in campo ora è una forza con ambizioni di governo. Che non teme più la principale minaccia degli ultimi anni: le incursioni aeree della Nato. Il convoglio del capo talebano Ahmad Ali Jan Ahmad sfila lentamente attraverso le strade di una città, poi si ferma davanti a un edificio dove il dignitario entra tranquillamente a piedi: il segno di quanto sia radicato il controllo del territorio.

Eppure si tratta di una provincia strategica, a poche decine di chilometri dal Kabul e attraversata dall’autostrada più importante che unisce la capitale al Sud. Dal 2001 in poi, l’esercito nazionale e le truppe americane si sono impegnate per pacificarla e sette anni dopo la situazione sembrava abbastanza tranquilla: la Nato l’aveva affidata a un contingente della Repubblica Ceca, con un piano di attività per lo sviluppo dell’economia. Ma poco alla volta i talebani sono tornati.

I governatori nominati dalle autorità di Kabul lì non hanno vita facile. Uno è stato assassinato nel 2013; un anno fa un’autobomba ha cercato di uccidere il suo successore massacrandone la scorta. Oggi dei quattro distretti che compongono la provincia solo uno è saldamente in mano alle autorità nazionali. Negli altri o dominano i fondamentalisti o comunque l’esercito resta asserragliato nelle basi cittadine, lasciandoli liberi di muoversi e imporre la legge coranica. In genere, cominciano ordinando la chiusura delle scuole e proibendo l’educazione delle bambine. E così cancellano anche le speranze di un futuro diverso per l’Afghanistan.

Gianluca Di Feo. (La Repubblica)

 

 

 

 

(La Repubblica)

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