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Il presidente Putin tenta di riavviare il dialogo strategico con l’invio di aiuti umanitari

Mentre il mondo si confronta con la pandemia di coronavirus, la Russia prova a tendere la mano agli Stati Uniti. L’aereo con a bordo aiuti sanitari, partito dall’aeroporto di Chkalovskij, nella regione di Mosca, e arrivato ieri a New York, è un gesto dall’alto valore simbolico e senza precedenti nei rapporti fra i due paesi. La Russia ha deciso di inviare gli aiuti in seguito al colloquio telefonico avvenuto due giorni fa fra i presidenti Vladimir Putin e Donald Trump, incentrato proprio sull’emergenza globale provocata dal coronavirus e sull’instabilità del mercato energetico, favorita dalla mancata estensione dell’accordo Opec+ sul taglio della produzione. I due temi sono certamente di grande rilievo per entrambi i paesi: negli Stati Uniti, dopo che l’amministrazione Trump ha inizialmente sottovalutato il problema, è in corso una crisi sanitaria senza precedenti; in Russia, a dispetto di numeri ufficialmente più ridotti, è entrata in vigore una quarantena a livello nazionale. La questione energetica, inoltre, è di importanza strategica per entrambi i paesi: gli Stati Uniti, già colpiti dalla crisi dello shale, stanno valutando aiuti alle principali aziende del settore degli idrocarburi; mentre la Russia con gas e petrolio detta, di fatto, la sua agenda a livello internazionale.

Non è la prima volta, tuttavia, che Putin tenta di riavviare il dialogo strategico con gli Stati Uniti. Dopo l’11 settembre Putin tese la mano all’amministrazione repubblica guidata da George W. Bush, consentendo di fatto agli Stati Uniti di dichiarare guerra all’Afghanistan aprendo lo spazio aereo russo. Vista la scarsa fiducia della Casa Bianca nei confronti del Pakistan, ritenuto troppo vicino ai militanti talebani, e dell’Iran, il sostegno russo fu di grande importanza per l’avvio dell’operazione. Putin, quindi, aiutò Bush a ottenere basi aeree da Uzbekistan e Kirghizstan, è concesse l’uso di una base russa in Tagikistan, tre paesi dell’Asia centrale strettamente legati alla Russia. L’intento di Putin, in quell’occasione, fu di stabilire una partnership strategica con l’amministrazione statunitense e grazie anche alla mediazione del governo guidato da Silvio Berlusconi si arrivò all’accordo di Pratica di Mare e alla creazione del Consiglio Nato-Russia. Il dialogo però fu complicato dalle «rivoluzioni arancioni», scoppiate prima in Georgia e poi in Ucraina, e infine si arenò durante gli anni della presidenza di Barack Obama. Infine, dopo l’annessione unilaterale della Crimea nel 2014 e la presunta interferenza russa nelle presidenziali Usa del 2016, i rapporti si sono decisamente deteriorati.

La congiuntura internazionale sfavorevole attuale, tuttavia, potrebbe diventare un’opportunità di riavvicinamento fra i due paesi, non più nemici come nel periodo della Guerra fredda, ma sicuramente rivali e distanziati da interessi che li vedono spesso ragionare in termini di contrasto piuttosto che di confronto. Putin, d’altronde, in questa fase è riuscito a consolidare la sua posizione di potere in Russia con l’adozione di emendamenti costituzionali che gli consentiranno di ricandidarsi anche dopo il 2024. Trump, invece, a novembre dovrà confrontarsi con il candidato democratico Joe Biden per ottenere un secondo mandato presidenziale. Se sino a poche settimane fa sembrava non esserci partita fra i due, ora l’emergenza coronavirus e i suoi riflessi a livello economico – già evidenti dalle dure perdite registrate alla Borsa di Wall Street – rischiano di mettere in difficoltà la campagna di Trump. A livello internazionale, peraltro, non si può negare che una partnership strategica fra Russia e Usa avrebbe effetti positivi, non solo per la stabilità geopolitica globale ma anche per sedare le incertezze dei mercati finanziari. (Agenzia Nova)

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