Caos Libano: «politici corrotti, frigoriferi vuoti, così muore il mio paese»

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Anti-government protesters hold Lebanese national flags as shout slogans during a protest in downtown Beirut, Lebanon, Saturday, June 6, 2020. Hundreds of Lebanese demonstrators gathered in central Beirut Saturday, hoping to reboot nationwide anti-government protests that began late last year amid an unprecedented economic and financial crisis. (AP Photo/Bilal Hussein)

(Roma-30 giugno 2020).  «Se non vogliono fare niente, se hanno ridotto il paese in questo stato, ce ne andremo, noi vogliamo vivere con dignità». È questa oggi la situazione in cui si trova il Libano, un tempo la «Svizzera del Mediterraneo», come ci ha detto in questa intervista il professor Camille Eid, giornalista libanese, residente in Italia dove collabora con il quotidiano Avvenire, non trattenendo a volte le lacrime pensando alla devastazione che sta subendo il suo paese. Una crisi «economica, finanziaria, politica e sociale portata al culmine da una classe politica corrotta e clientelare che ha coinvolto tutti i partiti e tutte le religioni: la moneta locale ha perso oltre il 70% del suo valore dall’ottobre 2019, quando sono cominciate le manifestazioni popolari. Uno stipendio che valeva mille dollari oggi ne vale 200, le famiglie fanno la fame, i frigoriferi sono vuoti». Anche il Papa, nell’ultimo Angelus, ha alzato la voce perché «il Libano, modello di democrazia e convivenza religiosa, oggi deve impedire che le sue piaghe vadano in suppurazione».

Le forze politiche e di governo hanno convocato un incontro nazionale il 25 giugno, ma non ne è venuto fuori nulla, è così?

Sì, è così. Metà degli invitati non si sono presentati perché sono stanchi di discutere e di parlare della creazione di commissioni astratte. Vogliono passare alle azioni. I passi da compiere sono chiari, è la classe politica che non si rende conto che non c’è più bisogno di parole o di comitati. In questi quattro mesi di nuovo governo non abbiamo visto risultati tangibili, ma solo un peggioramento.

È vero che non si è discusso del disarmo di Hezbollah, che invece il popolo chiede a voce alta?

Sì, è vero, d’altro canto Hezbollah è una delle forze di governo.

E la crisi economica ormai devastante?

Il cambio con il dollaro è allo stremo, a febbraio era 2002 rispetto al solito valore di 1500, adesso al mercato nero è a quota 8.000. Tutti gli stipendi che valevano mille dollari adesso non arrivano a 200 dollari, e questo si ripercuote su tutti gli aspetti, la gente è alla fame. Il Libano importa più dell’80% del suo fabbisogno energetico e alimentare.

Come mai nessun paese aiuta il Libano? Nemmeno l’Unione Europea?

Bella domanda. Prima il Libano poteva contare sulle sue amicizie nei paesi occidentali e arabi, anche se ciò significava accumulare debiti su debiti ed è per questo che siamo arrivati a dichiarare default: non riuscivamo a pagare gli interessi sul debito. Si riusciva a tappare qualche buco, ma questi aiuti poi finivano nelle tasche dei politici per colpa di un diffuso clientelismo. Adesso non riusciamo neanche a tappare i buchi degli interessi.

La gente da quattro mesi manifesta in piazza. Che cosa chiedono innanzitutto?

I libanesi, quando sono scesi in piazza, chiedevano un governo di tecnici indipendenti, invece è stato fatto un governo di tecnici legati ai partiti. Essendo presente Hezbollah, i paesi arabi non aiutano più, perché li vedono come il fumo negli occhi, mentre gli Stati Uniti considerano il Libano filo-siriano e filo-iraniano. Con l’emergenza Covid ogni paese europeo pensa a se stesso e il Libano oggi è completamente isolato.

Si dice che il paese sia davanti allo spettro di una nuova guerra civile. È vero?

No. La gente non vuole un’altra guerra civile. È vero che in questi mesi ci sono state tensioni, ma erano provocazioni, si paventava questo rischio della guerra per invitare la gente a non scendere in strada. Minacciano sempre la guerra per creare timori, ma da parte del popolo non c’è alcuna volontà di tornare agli anni della guerra, anche se capitano incidenti e provocazioni da parte delle forze di Hezbollah.

Si tiene adesso una conferenza di Ue e Onu per il futuro della regione mediorientale. Nutre qualche speranza per il suo paese?

Non ho mai visto il Libano precipitare così rapidamente nel baratro, e mi addolora che accada alla vigilia del suo centenario. Il primo settembre 1920 fu proclamata l’indipendenza. È doloroso pensare che non sappiamo se arriveremo a celebrare questo evento, in cinque mesi abbiamo perso tutto. Il governo sovvenzionava benzina e farina, ma adesso benzina e farina vanno in Siria, c’è il contrabbando. Il Libano sta perdendo la sua vocazione e il suo ruolo, la gente ha perso tutti i risparmi che aveva in banca. Sono molto pessimista.

Non resta che scendere in piazza e pretendere un governo «tecnico»?

Le soluzioni non mancano, chi è al governo appartiene a una classe che ha partecipato alla corruzione e allo spoglio delle ricchezze del paese. Bisogna iniziare da esperti e tecnici che sappiano raddrizzare la situazione. Abbiamo avuto negoziati con il Fmi: la delegazione del governo indicava una cifra del debito, l’altra delegazione, quella delle banche, forniva altre cifre con differenze di 80 miliardi. Questo la dice lunga su che inganni e divisioni ci siano.

La Chiesa cristiano maronita riesce a dare un aiuto alla popolazione?

La chiesa dovrebbe essere un po’ più vicina al popolo, tante famiglie sono senza cibo. Un canale tv ha realizzato un servizio mostrando i frigorifere vuoti di tante famiglie, frigoriferi aperti e vuoti. Sono in contatto con un vescovo, ha attivato dei fondi come aiuto alle famiglie. Molte scuole cristiano-cattoliche hanno già annunciato che non potranno aprire. Fra un paio di giorni riapre l’aeroporto e chi può se ne andrà dal paese. Il Libano non è risanabile: se lo tengano coloro che lo hanno portato a questo livello, noi abbiamo scelto di vivere con dignità.

(Paolo Vites – ilsussidiario).  (L’articolo)