(Roma, 16 novembre 2025). L’Iran scommette sulla produzione missilistica: l’espansione dell’arsenale balistico permette a Teheran di recuperare progressivamente le scorte e le capacità produttive degradate dalla “guerra dei 12 giorni”. Con un’ulteriore variante: le recenti forniture cinesi trasformano Pechino in un attore sempre più rilevante nelle nuove dinamiche di equilibrio regionale.
Impenna la produzione balistica di Teheran
Il 5 novembre scorso, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha proclamato che la potenza missilistica iraniana supererebbe oggi “di gran lunga quella della guerra dei 12 giorni”. Poco prima, il ministro della Difesa iraniano Aziz Nasirzadeh affermava che la produzione dei sistemi di difesa iraniani sarebbe “migliorata sia in quantità che in qualità rispetto a prima della guerra di 12 giorni imposta da Israele a giugno”.
Dichiarazioni non scevre da dubbi, ma che trovano in parte conferma attraverso il monitoraggio condotto da diversi analisti sul programma missilistico iraniano, in particolare con riferimento all’aumento nel ritmo di produzione di munizioni balistiche. Tutto ciò si inserisce in un clima di crescente preoccupazione per un possibile nuovo scontro legato al programma nucleare di Teheran.
È la capacità di penetrazione delle armi balistiche a preoccupare Tel Aviv e gli alleati regionali: secondo quanto riportato dal report del JINSA (The Jewish Institute for National Security of America), nel corso della “guerra dei 12 giorni” il numero di missili balistici lanciati dall’Iran era pari a 574, di cui il 53% circa avrebbe bucato le difese anti-aeree di Israele e Stati Uniti. Se si pensa che nell’attacco contro Israele del 1° ottobre 2024 l’Iran impiegò solo missili balistici a medio raggio (MRBM), con circa il 90% di questi che raggiunsero lo spazio aereo israeliano (ovvero 180 su 200 missili), e circa la metà basi militari di Tel Aviv, è facile dedurre che proprio la capacità balistica di Teheran si affermerà come l’elemento tattico chiave nel confronto con lo storico avversario regionale.
La capacità produttiva mensile di missili balistici iraniani era stimata, a giugno 2025, tra le 50 e 100 unità. Ma secondo alcune analisi, le scorte iraniane di missili balistici sarebbero state riportate a 2.720 unità a partire dal 1° luglio, con una produzione mensile prevista di 150–200 missili entro il 15 novembre, resa possibile dai turni tripli nelle strutture di Parchin e Khojir.
Prontezza operativa e tempi di intercettazione
Durante la “guerra dei 12 giorni”, la maggior parte degli MRBM lanciati dall’Iran erano riconducibili alle tipologie denominate Ghadr (1.600 km di gittata, 750 kg di testata) ed Emad (1.800 km di gittata, 750 kg di testata); è possibile che l’Iran abbia utilizzato anche i missili Kheibar Shekan (1.450 km di gittata, 600 kg di testata), i Sejjil (2.000 km di gittata, 750 kg di testata), e infine il Khorramshahr-4 (3.000 km di gittata, 1.500 kg di testata), che è dotato di un raggio quasi intermedio, caratterizzato da una testata più pesante e probabilmente anche più preciso.
C’è ancora scarsa chiarezza sulle tipologie di missili balistici che Teheran sta mettendo in cantiere, ma il fabbisogno operativo sembra chiaro: puntare sui MRBM a propellente solido, in grado di offrire dei vantaggi di teatro più rapidi, per prepararsi a un eventuale nuovo confronto militare con Tel Aviv.
Oltre ai già menzionati missili Haj Qassem, Kheibar Shekan, c’è anche il più temuto Fattah-1 a essere dotato di un sistema di propulsione a propellente solido: si tratta di un missile che utilizza un sistema a due stadi e trasporta un veicolo di rientro manovrabile (MaRV) capace di volo indipendente con correzione della traiettoria in volo. Rispetto ai missili balistici a combustibile liquido, i missili a combustibile solido sono in grado di garantire una maggiore prontezza operativa, una maggiore sicurezza nell’impiego, e una conseguente riduzione anche dei tempi di intercettazione imposti alla difesa avversaria.
Pechino e il propellente solido a Bandar Abbas
Secondo fonti di intelligence occidentale, dopo la “guerra dei 12 giorni”, l’Iran già avviò la ricostruzione di diverse strutture missilistiche danneggiate, tra cui i siti di Parchin e Shahroud, colpiti dagli attacchi israeliani nell’ottobre 2024. La ricostruzione di strutture che ospitano i miscelatori per combustibile solido, essenziali per produrre missili balistici, risale già allo scorso agosto. Al momento, comunque, l’Iran non disporrebbe ancora di miscelatori operativi e rimarrebbe dipendente da lotti di importazione straniera.
L’Iran starebbe ricevendo carichi di perclorato di sodio presso il porto di Bandar Abbas per produrre i compositi di combustibile solido comunemente utilizzato da vettori missilistici moderni. Un fatto che, lo scorso 12 novembre, ha sollevato una richiesta d’indagine da parte di due deputati del Congresso americano sulla consegna di 2.000 tonnellate di perclorato di sodio cinese a partire dalla fine di settembre.
L’annuncio statunitense, dello scorso martedì 11 novembre, di pesanti sanzioni nei confronti di 32 persone e aziende in otto Paesi (Iran, Cina, Turchia, Germania, India, Ucraina, Hong Kong ed Emirati Arabi Uniti), accusate di aver aiutato l’Iran nella ricostruzione delle sue capacità tecnico-produttive militari avrebbe riguardato, in particolare, la fornitura di “sostanze chimiche propellenti per missili, come il perclorato di sodio e l’acido sebacico”.
Una mossa che, come altre iniziative sanzionatorie unilaterali, non sembra sufficiente ad arrestare meccanismi di cooperazione e scambio regionali. Già principale fornitore militare del Pakistan, la Cina potrebbe svolgere un ruolo decisivo nella ripresa delle capacità militari iraniane.
Di Davide Ragnolini. (Inside Over)