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Sudan : la base sul Mar Rosso al centro dello scontro geopolitico tra USA e Russia

(Roma, 10 novembre 2025). Con lo scoppio del conflitto civile nell’aprile 2023, il progetto è rimasto congelato e non è mai stato ratificato dal parlamento sudanese, che nel frattempo è stato sciolto

L’ambasciatore russo a Khartum, Andrei Chernovol, ha annunciato oggi la sospensione del progetto per la costruzione di una base navale russa sulle coste sudanesi del Mar Rosso. In un’intervista all’agenzia di stampa “Ria Novosti”, l’ambasciatore ha aggiunto che “i progressi su questa materia sono temporaneamente interrotti” a causa del deteriorarsi della sicurezza interna in Sudan, teatro da oltre un anno e mezzo di una sanguinosa guerra civile che vede contrapposte le Forze armate sudanesi (Saf) e le Forze di supporto rapido (Rsf). Un annuncio, quello del diplomatico russo, che segna un’ulteriore battuta d’arresto per un progetto che aveva già conosciuto diversi ostacoli dallo scoppio del conflitto. Un primo accordo per la creazione di un “punto di supporto logistico” per la Marina russa era stato concluso nel 2017, ancora sotto l’ex presidente di lunga data Omar al Bashir. Successivamente, nel novembre 2020, i due governi avevano firmato un accordo preliminare – della durata di 25 anni – per stabilire quello che è stato descritto come un polo logistico navale russo in Sudan, che dovrebbe arrivare ad ospitare un massimo di 300 militari e fino a quattro navi da guerra, comprese imbarcazioni a propulsione nucleare. Tuttavia, a causa dell’inerzia burocratica e dei cambiamenti nel panorama politico sudanese – culminati prima con il rovesciamento di Bashir, nel 2019, poi con il colpo di Stato militare dell’ottobre 2021, e infine con lo scoppio del conflitto civile nell’aprile 2023 – il progetto è rimasto congelato e non è mai stato ratificato dal parlamento sudanese, che nel frattempo è stato sciolto.

Il progetto della costruzione di una base russa sulle coste sudanesi del Mar Rosso è da tempo al centro di numerose speculazioni. Il Mar Rosso, del resto, costituisce una rotta strategica di vitale importanza per il commercio globale, nonché un punto caldo dal punto di vista geopolitico. Per la Russia, in particolare, disporre di una propria presenza in quell’area sarebbe d’importanza cruciale, a maggior ragione dopo il rovesciamento del regime siriano di Bashar al Assad – strettissimo alleato di Mosca – e il rischio conseguente di perdere un presidio strategico come la base militare di Tartus, che da anni costituisce il principale avamposto russo nel Mar Mediterraneo. È con questo obiettivo che, stando a fonti citate da alcuni media internazionali, negli ultimi mesi funzionari russi hanno visitato la città di Port Sudan, divenuta la capitale “de facto” del Sudan dall’inizio della guerra, nel tentativo di stringere legami con le autorità sudanesi. Se, infatti, all’inizio delle ostilità il Cremlino ha sostenuto le Forze di supporto rapido (Rsf) del generale Mohamed Hamdan Dagalo “Hemeti”, con il quale ha per anni coltivato stretti legami nello sfruttamento delle miniere d’oro del Darfur, negli ultimi mesi la posizione di Mosca – mai resa ufficiale – sembrerebbe essere mutata, spostandosi gradualmente verso un sostegno più diretto alle Saf, in funzione appunto degli interessi strategici russi nel Mar Rosso.

Ma la Russia non è l’unico attore interessato ad un presidio strategico nell’area. Lo è in primo luogo la Turchia, che nel dicembre 2017, durante la visita del presidente Recep Tayyip Erdogan in Sudan, ha siglato un accordo con l’allora presidente Bashir per la ricostruzione della città-porto ottomana di Suakin, sulla costa del Mar Rosso. L’accordo prevedeva la riabilitazione del porto e dell’antica città – costruita su un’isola all’interno di un’insenatura – per fini civili (turismo, pellegrinaggi verso la Mecca), ma anche la costruzione di un molo per navi civili e militari, oltre che la concessione a lungo termine dell’isola o di parte dell’isola alla Turchia. Un altro attore interessato da vicino ad un presidio nelle coste sudanesi del Mar Rosso è l’Iran, che non a caso – come la Turchia – sostiene l’esercito sudanese dal 2023, anno in cui i due Paesi ha ripristinato le relazioni diplomatiche: da allora, secondo quanto emerso da numerosi fonti d’informazione, Teheran ha fornito alle Saf droni – in particolare modelli come il Mohajer‑6 e l’Ababil‑3 – utilizzati in operazioni contro le Rsf, sostenute invece dagli Emirati Arabi Uniti. Un sostegno che, secondo diversi analisti, ha contribuito significativamente a un riallineamento della situazione sul campo, consentendo all’esercito di riconquistare la capitale Khartum.

Secondo quanto riportato dal “Wall Street Journal” nel febbraio 2024, inoltre, l’Iran avrebbe offerto al Sudan armamenti avanzati, tra cui una nave da guerra con elicotteri, in cambio del permesso di costruire una base navale permanente sulla costa sudanese del Mar Rosso, che avrebbe consentito a Teheran di monitorare il traffico marittimo da e verso il Canale di Suez e Israele. Secondo le stesse fonti, tuttavia, il governo sudanese avrebbe respinto la proposta per evitare di alienarsi le simpatie di Stati Uniti e Israele, con i quali ha recentemente cercato di migliorare le relazioni. Gli Usa e lo Stato ebraico, del resto, sono gli altri due attori interessati a garantirsi un presidio strategico sulle coste del Mar Rosso: per Washington l’obiettivo è quello di impedire che potenze rivali – Russia e Cina in primis – consolidino una presenza militare capace di minacciare queste rotte; per Tel Aviv, invece, un simile presidio consentirebbe di controllare un fronte strategico nella guerra ombra con l’Iran, contrastando in maniera più efficace i traffici di armi e droni a sostegno degli Houthi filo-irianiani dello Yemen, oltre che di garantire la sicurezza delle rotte commerciali e delle sue forniture energetiche. È in questo scenario che, di recente, fonti di stampa hanno riferito che sarebbero in corso delle interlocuzioni tra l’amministrazione Usa, da una parte, e le autorità sudanesi, dall’altra, per raggiungere un accordo che preveda l’apertura in Sudan di un’ambasciata israeliana e di un quartier generale di sicurezza per il Mossad, in cambio della sospensione della realizzazione della base militare russa e la costruzione, al suo posto, di una base navale statunitense.

È con questo scopo che, alla fine di ottobre, il leader del Consiglio sovrano sudanese, Abdel Fattah al Burhan, ha inviato a Washington il suo ministro degli Esteri, Mohi El Din Salem, insieme al capo dell’intelligence militare, Ahmed Ali Sabir, e al segretario speciale del capo del Consiglio sovrano, Amr Abu Obeida. Una visita che, secondo la versione ufficiale riportata dal ministero degli Esteri di Khartum, è stata finalizzata a rafforzare le relazioni bilaterali e la cooperazione con Washington, oltre a “far progredire il dialogo su questioni di interesse comune, tra cui il sostegno alla pace in Sudan”, a “rafforzare la cooperazione economica e umanitaria” e a “discutere le opportunità di ricostruire le relazioni su basi di rispetto reciproco e interessi condivisi”. Secondo fonti vicine al dossier, tuttavia, i colloqui sarebbero stati incentrati su uno scambio che prevedrebbe anche la designazione, da parte degli Usa, delle Forze di supporto rapido come “organizzazione terroristica”, in cambio di una piena e normalizzazione dei rapporti tra Israele e il Sudan (già firmatario degli Accordi di Abramo, nel 2021). Le autorità sudanesi, da parte loro, avrebbero inoltre chiesto a Washington esercitare ulteriore pressione sugli Emirati affinché cessino il loro sostegno alle Rsf. La notizia, tuttavia, non ha finora trovato riscontri ufficiali. Interpellato da “Agenzia Nova” al riguardo, un portavoce del dipartimento di Stato Usa non ha confermato la notizia, limitandosi a precisare che l’amministrazione Trump continua a portare avanti “interlocuzioni dirette” con gli attori presenti in Sudan “a tutti i livelli”, con l’obiettivo di “premere verso una pace duratura” che possa garantire l’accesso agli “aiuti umanitari e alleviare la sofferenza della popolazione”. Se venisse confermata, tuttavia, tale indiscrezione potrebbe aprire sviluppi inattesi nel conflitto in Sudan.

(Nova News)

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