(Roma, 29 giugno 2025). La minaccia dei missili, le « nozze rosse » e l’imprevisto all’ultimo minuto: tutti i segreti dell’operazione Rising Lion cominciata in realtà 15 anni fa
Continuano a trapelare le indiscrezioni sull’operazione militare israeliana nota ormai al mondo come Rising Lion. A partire dalle sue origini che, come scrive il Times sulla base di documenti di intelligence, risalirebbero almeno al 2010, anno in cui agenti del Mossad avrebbero stabilito la loro presenza in diverse località dell’Iran allo scopo di monitorare l’espansione del programma nucleare e missilistico iraniano. Particolarmente estesa l’infilitrazione degli agenti del Mossad a Natanz, dove avrebbero mappato le strutture in superficie e sotterranee dell’impianto, ad Isfahan e nei siti di Nur, di Mogdeh, di Shariati, di Sanjarian e di Shahid Meisami. Persino il quartier generale delle Guardie Rivoluzionarie sarebbe stato violato.
Nel corso della loro missione gli operativi di Tel Aviv scoprono progressi bellici più avanzati del previsto. Una fonte degli 007 menzionata nei file visionati dal quotidiano britannico sostiene che le spie di Israele visitano ogni struttura legata alla produzione missilistica iraniana poi attaccata nei 12 giorni di raid israeliani. Secondo valutazioni dell’Idf citate dal Jerusalem Post, alla vigilia dei raid aerei avviati il 13 giugno, Teheran poteva contare su circa 2500 missili balistici e si apprestava a costruire un nuovo impianto in grado di portare tale arsenale a quota 10mila entro il 2028.
L’allarme rosso a Tel Aviv sembra scattare a fine 2024 quando l’intelligence israeliana scopre che il regime iraniano sta lavorando ad un sistema esplosivo avanzato che gli permetterebbe di raggiungere una capacità nucleare « nel giro di settimane ». A questo punto il lavoro nell’ombra svolto per 15 anni dagli operativi del Mossad si rivela prezioso per lanciare l’operazione Rising Lion che non si riduce a colpire siti atomici e missilistici ma anche scienziati nucleari e leadership militare della Repubblica Islamica.
Anche il Wall Street Journal ricostruisce le origini del piano d’Israele contro l’Iran rivelando che risalirebbero addirittura alla metà degli anni Novanta quando gli 007 di Tel Aviv identificarono i primi tentativi da parte della Repubblica Islamica di costuire un programma nucleare. Da allora lo Stato ebraico avrebbe messo in piedi una rete di spie in territorio iraniano per facilitare una campagna di sabotaggi e di omicidi mirati. In seguito, funzionari israeliani si convincono però che tali azioni non sono sufficienti e concludono che solo un attacco aereo può distruggere i siti nucleari ed eliminare gli esperti di Teheran.
Per preparare un blitz a centinaia di chilometri dai confini nazionali, l’aviazione israeliana nel 2008 organizza un’esercitazione denominata « Operazione spartano glorioso » a cui prendono parte più di 100 F-15 e F-16. I jet percorrono oltre 1600 chilometri verso la Grecia per testare le loro capacità. Tali esercitazioni, scrive il Wall Street Journal, da quel momento si fanno sempre più frequenti. Anche gli attacchi aerei contro gli Houthi nello Yemen e due raid in Iran ad aprile e ad ottobre del 2024 permettono a Tel Aviv di predisporre la resa dei conti con Teheran.
I preparativi accelerano nel novembre dell’anno scorso quando l’esercito israeliano raduna 120 funzionari dell’intelligence e dell’Aeronautica per stabilire gli obiettivi dell’attacco. Oltre 250 i target individuati. Nasce l' »operazione Narnia », un nome non casuale per un’impresa al limite dell’impossibile che prevede l’uccisione quasi in simultanea di nove esperti del regime nelle loro case a Teheran nelle prime ore dell’assalto dal cielo. Ancora più incredibile la missione « nozze rosse », ispirata ad un celebre episodio della serie Game of Thrones, che porterà all’eliminazione di una trentina di capi militari iraniani. Per ottenere la superiorità aerea sul nemico viene coinvolto il Mossad che per mesi introduce in Iran componenti per centinaia di droni esplosivi. Piccole squadre armate vengono dislocate in prossimità di postazioni di difesa aerea e di siti di lancio missilistici iraniani, pronti ad entrare in azione subito dopo il via libera da parte di Tel Aviv.
La decisione definitiva di colpire Teheran viene presa il 9 giugno dal governo del premier Benjamin Netanyahu che mette in atto una serie di escamotage per cogliere di sopresa le autorità della Repubblica Islamica. L’ufficio del premier annuncia un weekend di riposo prima del matrimonio, il 16 giugno, di Avner, il primogenito di « Bibi ». Nessuno, compresi Avner e la moglie di Netanyahu, sapeva che il premier intendeva rinviare le nozze. Indiscrezioni su una telefonata tesa tra il primo ministro e il presidente Usa Donald Trump vengono diffuse per mettere in mostra le divergenze tra i due leader sul dossier nucleare. Tutto fumo negli occhi degli iraniani mentre i generali di Tel Aviv mettono a punto gli ultimi dettagli dell’attacco.
Per quanto ne sappiamo sino ad ora, l’Operazione Rising Lion ha raggiunto i suoi obiettivi, anche grazie ai bombardamenti americani sui siti di Fordow, Natanz e Isfahan che potrebbero aver causato danni significativi al programma nucleare dell’Iran. C’è però stato un momento in cui l’intera missione israeliana ha rischiato di saltare e di arrivare ad un esito catastrofico. Nelle prime ore dell’attacco, mentre i caccia con la stella di David sono già in volo, i militari dell’Idf rilevano un’iniziale « dispersione » dei capi dell’Aeronautica del regime. Il successo dell’operazione dipende dalla neutralizzazione simultanea e in un unico luogo dei principali comandanti iraniani che potrebbero organizzare una rappresaglia efficace.
L’allerta rientra poco dopo: i vertici delle forze aeree iraniane si riuniscono infatti in un unico posto diventando facili prede dei missili israeliani. Il 13 giugno alle 3:30 ora locale, Teheran viene svegliata dall’esplosione delle prime bombe.
Di Valerio Chiapparino. (Il Giornale)