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L’all-in di Netanyahu : distruggere la Repubblica Islamica e plasmare la «Grande Israele»

(Roma, 16 giugno 2025). L’escalation esplosa nella notte tra il 12 e il 13 giugno 2025 che coinvolge la Repubblica Islamica d’Iran e lo Stato d’Israele segna un momento storico, una vera e propria soluzione e di continuità, non soltanto nelle relazioni tra i due Paesi, ma per la Regione stessa. Se nei 40 anni successivi alla rivoluzione del 1979, il conflitto fra l’Iran khomeinista e i suoi principali avversari, Stati Uniti e Israele, si era mantenuto a un livello di bassa intensità, in seguito allo scoppio del conflitto a Gaza, il 7 ottobre 2023, questo modus operandi nel confronto tra i due Paesi si è sostanzialmente modificato. Dopo la serie ripetuta di attacchi missilistici avvenuta negli ultimi mesi, nei giorni scorsi abbiamo visto una vera e propria guerra aperta tra i due Paesi.

È dalla notte del 13 giugno che continuano gli attacchi tramite droni e forze aeree, che hanno causato la distruzione di infrastrutture militari e civili, e la morte, complessivamente tra le due parti, di più un centinaio di individui, tra ufficiali dell’esercito iraniano, scienziati del programma nucleare e civili iraniani e israeliani.

Questo conflitto, che la comunità internazionale apparentemente ha sempre tentato di dissuadere e contenere, esplode oggi proprio per la superficialità nell’approccio con cui i principali attori politici globali hanno gestito questo delicato dossier. Inevitabilmente, il precipitarsi degli eventi segnerà un cambiamento radicale nella storia delle relazioni fra i due Paesi e, come già accennato, della regione in sé.

Per quale motivo? In quanto se, come prospettato dai vertici militari e politici israeliani, il conflitto dovesse protrarsi per più settimane, è probabile che ciò implichi un’intenzione israeliana non semplicemente di degradare il programma nucleare iraniano a uno stato di non pericolosità per lo Stato di Israele, ma probabile che il fine ultimo di questa operazione sia quello di eliminare in maniera definitiva l’attuale dirigenza politico-militare iraniana, con l’obiettivo non tanto di un cambiamento di regime — il cosiddetto regime change, nel lessico tecnico anglosassone — ma di una vera eradicazione del regime, una regime erasure, mai prospettata fino ad oggi.

Questo avviene non tanto per una reale minaccia a Israele da parte del regime iraniano, ma per, uno scopo di più ampio respiro. Sembrerebbe infatti che il pensiero politico israeliano in relazione al conflitto con l’Iran, sia cambiato negli ultimi due anni.  Pare che i politici israeliani abbiano definitivamente accantonato la dottrina della “nord-coreanizzazione” dell’Iran, che fino a questo momento era stata portata avanti dai decisori di Tel Aviv. Tale strategia consisteva in un approccio militare di contenimento forte dell’Iran, che lo rendesse di fatto inoffensivo, senza però la necessità di realizzare un’opera di regime change, in quanto il metus hostilis, rappresentato dalla dirigenza politica iraniana e dalla Repubblica Islamica come sistema politico nella regione, era di fatto funzionale alla propaganda israeliana e alla preservazione del potere da parte di Netanyahu e del suo gabinetto politico, oltre che ai suoi alleati all’esterno del suo partito, il Likud.

Decisiva nell’influenzare questo cambio di direzione strategica è stata la politica di non interferenza da parte degli Stati Uniti e degli alleati europei nella guerra israeliana di sterminio a Gaza, seguita agli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre 2023. La mancata presa di posizione degli alleati atlantici ha rassicurato la dirigenza israeliana, infondendo a Netanyahu la fiducia sufficiente per dare inizio a un conflitto aperto anche con l’Iran. Non più, ripeto, allo scopo della semplice eliminazione del programma nucleare iraniano, bensì a quello di distruggere di fatto la Repubblica Islamica, con l’obiettivo di trasformare la postura israeliana nella regione, da puramente difensiva e di autosostentamento ad una più aggressiva, volta a creare una “Grande Israele”. L’obiettivo finale sembra essere quello di costruire una nuova nazione imperiale nella Regione, che combini una vasta area territoriale, attualmente in espansione, con l’invasione del Libano, della Siria e della Cisgiordania e con l’occupazione della Striscia di Gaza, che allo stesso tempo implichi anche la totale distruzione dei nemici esterni.

Questi ultimi non vengono più sottoposti ad una strategia di containment, con una combinazione di sabotaggi, attentati e degradazione delle capacità offensive nemiche (sia militari, sia economiche, grazie alla ripetuta attuazione del programma sanzionatorio internazionale guidato dagli Stati Uniti) ma con una vera e propria eradicazione dei sistemi politici degli attori regionali ostili ad Israele. Questo è avvenuto prima con l’annientamento politico di Hamas, in seguito con eliminazione dei vertici di Hezbollah e con il crollo del regime siriano. Oggi lo osserviamo compiersi con questo attacco su larga scala contro l’Iran.

Inoltre, questa guerra dimostra, se non ce ne fosse ancora alcun dubbio, l’inesistenza e la totale falsità dell’affermazione di alcuni organismi di propaganda filo-israeliana e atlantica in Europa e negli Stati Uniti, che affermavano l’esistenza di un cosiddetto “Asse della resistenza globale”, cioè di un’alleanza tra Cina, Russia e Iran. Il fatto che né i cinesi né i russi abbiano di fatto mobilitato alcuna forma di risorsa militare per sostenere l’Iran aggredito ci dimostra, ancora una volta, come il partenariato fra queste tre grandi nazioni, revisioniste dell’ordine internazionale a trazione americana, sia molto più flebile di quello che si creda, e che segua delle logiche estranee al nostro modello di interpretazione europeo e americano. Inoltre, questo conflitto rischia di avere ricadute impreviste, in quanto l’Iran non è una nazione paragonabile al Libano o alla Striscia di Gaza, ma è un paese di 90 milioni di abitanti, con complesse dinamiche interne a livello politico e sociale, e con una vasta ricchezza etnica, che quindi pone numerose incognite sugli effetti di una guerra così devastante portata avanti sul suo suolo.

Di Alessandro Cassanmagnago. (Inside Over)

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