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Israele : dall’esercito e dalla società civile appelli per la fine della guerra

(Roma, Parigi, 14 aprile 2025). La lettera dei riservisti dell’aeronautica che chiedeva la fine della guerra e un accordo con Hamas per liberare gli ostaggi ha provocato uno tsunami. Nonostante la risposta ferma del governo, che ha iniziato a licenziare i firmatari di quella prima missiva, continuano a piovere lettere analoghe firmate da membri del personale dell’intelligence, militare e civile, dei corpi corazzati, dei paracadutisti e di altre branche dell’esercito, siglate sia da effettivi che da alti gradi.

Ne dà conto un articolo di Haaretz, che in un altro articolo riporta come a questi si siano uniti 3500 accademici. Uno sviluppo nuovo a inaspettato del conflitto, che certo non può essere ignorato dalle autorità israeliane, nonostante tenga fermo il piede sull’acceleratore che sta producendo una strage dietro l’altra. Di ieri l’attacco all’ospedale Battista al-Ahli, una struttura sanitaria cristiana nel cuore di Gaza, devastata nella festività delle Palme (coincidenza funesta e probabilmente non casuale).

Così diamo conto dell’editoriale di Haaretz del 14 aprile, nel quale si stigmatizza questo attacco, l’assassinio dei quindici operatori sanitari che ha scandalizzato il mondo e il bombardamento che ha distrutto un condominio di Shujaiyeh, quartiere di Gaza City, che avrebbe ucciso l’ennesimo comandante di Hamas e, insieme a lui, altri 35 civili.

“Nella guerra attuale – scrive Haaretz – il principio di proporzionalità è stato messo da parte. Uccidere decine di civili per assassinare un giovane comandante di Hamas non è considerato anormale, sebbene sia molto probabile che si tratti di un crimine di guerra”.

“Insieme alla proporzionalità sono stati abbandonati anche altri valori e principi: la purezza delle armi [uno dei quattro principi cardini richiesti all’esercito israeliano ndr], il rispetto del diritto internazionale, la considerazione delle sofferenze inflitte ai civili innocenti e di ciò che dovrebbe avvenire dopo la fine della guerra […]”.

“Tutto ciò accade in parallelo con una decisione politica volta esplicitamente a far morire di fame gli abitanti di Gaza. Per sei settimane la Striscia è stata completamente chiusa a ogni forma di aiuti, compresi quelli alimentari. Le denunce di una malnutrizione diffusa, di una carestia dilagante e della propagazione di malattie sono in aumento, mentre le IDF continuano a spingere i cittadini malridotti e affamati a spostarsi da un posto all’altro”.

“Questa politica brutale nei confronti della popolazione civile ha macchiato per sempre la reputazione di Israele e ne pagheremo un prezzo elevato: boicottaggi palesi e occulti, danni economici ed erosione della legittimità internazionale e dei fondamenti morali e umanitari della società israeliana”.

“[…] È ora che la verità venga detta: l’unico modo che ha Israele per sopravvivere come democrazia e non come Stato paria è attraverso un cessate il fuoco immediato, un accordo che veda la liberazione degli ostaggi e dei negoziati che portino alla creazione di uno Stato palestinese. Non c’è altra via”. Purtroppo, quest’ultima richiesta ad oggi appare alquanto utopica, ma la riportiamo ugualmente perché la speranza è l’ultima a morire.

Per dovere di cronaca va registrato che i negoziati sono ripresi e sembra che abbiano uno slancio nuovo. Ma anche in questo caso la speranza deve fare i conti con le delusioni pregresse, quando Netanyahu è riuscito da far deragliare accordi che sembravano fatti, opera di sabotaggio che secondo un alto funzionario di Hamas sembra si stia ripetendo, nonostante abbia assicurato ai familiari di un ostaggio che un accordo è vicino.

D’altronde, come ricordano Aaron David Miller e Steven Simon sul New York Times dello stesso giorno, “Netanyahu è sotto processo per diverse accuse per le quali può sfuggire al giudizio solo rimanendo in carica. Non ha intenzione di mettere a repentaglio la sua presa del potere”.

E sa bene che i suoi alleati di governo ultraortodossi lo abbandonerebbero nel caso di un accordo con Hamas. I suoi antagonisti, interni e internazionali, potrebbero forse esplorare la possibilità di una garanzia di impunità: sarebbe ingiusto, certo, ma potrebbe forse riuscire a convincerlo a porre fine a questi orrori.

Di Davide Malacaria. (Inside Over)

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