L'actualité du Proche et Moyen-Orient et Afrique du Nord

Donald Trump ammette il rischio recessione, Wall Street sente l’odore del sangue e va in rosso

(Roma, 11 marzo 2025). Il presidente statunitense Donald Trump in un’intervista non esclude la recessione. Wall Street sente l’odore del sangue e scatena le vendite in Borsa. Nella seduta di scambi di lunedì 10 marzo il Dow Jones ha lasciato sul campo il 2,08%, l’S&P 500 ha perso il 2,70% e il Nasdaq ha visto erodersi il 4,00% della capitalizzazione. È l’ennesimo risultato da “profondo rosso” innescatosi dalla seconda metà di febbraio, in cui Trump recita la parte del minaccioso sottomarino. Non si registrava un avvio di presidenza così pesante per i corsi azionari dal 2009, anno in cui però ancora imperversava la crisi finanziaria. Prima di allora bisogna tornare a George W. Bush nel 2001, quando S&P500 e Nasdaq fecero peggio di oggi. Al 10 marzo 2025 il tabellone, infatti, segna -2,6% del Dow Jones, -5,6% S&P500 e -10,5% Nasdaq. Male anche Bitcoin, che perde oltre il 20% nell’ultimo mese (dopo una inesorabile cavalcata partita a settembre 2024).

Sono stati sufficienti due mesi di mandato per confermare una delle tesi più discusse della vigilia: Trump Due non è Trump Uno. La prova regina ci è stata servita su un piatto d’argento dallo stesso Tycoon a Sunday Morning Future su Fox News. Potenzialmente una innocua intervista di routine, che si è invece trasformata in un carico dinamitardo per gli scambi sui mercati finanziari di poche ore dopo. Alla domanda di Maria Bartiromo “Si aspetta una recessione nel 2025?”, il presidente degli Stati Uniti risponde “Odio fare previsioni su cose come questa. C’è un periodo di transizione perché quello che stiamo facendo è qualcosa di grosso”. Una risposta che – nella sintassi elementare e diretta tipica del suo stile comunicativo – si rivela essere pragmatica e trasparente. Una risposta che, proprio per questo, Trump Uno non avrebbe mai potuto fornire.

Il primo mandato di Donald Trump fece dell’ottimismo a oltranza il rullante dell’avanzata di una politica economica alimentata a bassi tassi di interesse (premendo sul governatore Powell alla FED), deregolamentazione sul fronte interno, tagli fiscali e costi dell’energia contenuti (spingendo sulla produzione nazionale di combustibili fossili). Donald Trump come imprenditore-presidente, chiamato quindi a dare il “buon esempio” ai colleghi alimentando gli investimenti e i corsi azionari anche attraverso la comunicazione convinta e priva di indecisione. Un’arma decisiva in un’epoca in cui il trading si intreccia sempre più al sentiment rilevato su social network e media tradizionali.

Trump Due ha abbandonato per ora il ruolo di irriducibile propulsore dell’economia (con la crescita del Pil e dei corsi azionari a tutti i costi), assumendosi la responsabilità dell’inversione della politica economica. Un Presidente che quindi mette in conto e ammette pubblicamente l’avvio di una fase di transizione che potrà anche essere dolorosa nel breve termine, sospendendo la comunicazione “alla dopamina” a cui ci ha abituati nel 2016 e abbracciando il più istituzionale “medio termine”.

Nel mirino i “deficit gemelli”

Le parole pronunciate a Fox News sono state per le Borse la scintilla di un mix esplosivo presente da settimane, alimentato da uno stato di progressiva e crescente incertezza sul fronte dei dazi commerciali nei confronti di Cina, Europa, Messico e Canada. Lucidamente titola l’Associated Press: “Wall Street si chiede quanto dolore Trump è disposto ad accettare per l’economia”. Perché se quelle di Trump “sono solo parole”, ci pensano anche indicatori quantitativi come il “GDP Now” della Federal Reserve di Atlanta a suonare il campanello di allarme. Il modello – simile all’Ita-Coin di Banca d’Italia – stima che nel primo trimestre del 2025 l’economia USA si sia contratta sensibilmente.

Nell’intervista a Fox News Trump non solo alimenta l’incertezza ma declassa l’andamento del mercato azionario in quanto indicatore, durante il primo mandato innalzato quotidianamente a cartina di tornasole del proprio operato: “Io devo costruire una nazione forte. Non puoi fermarti a guardare il mercato azionario. Considera che in Cina hanno un orizzonte di 100 anni”. E ancora, sui dazi: “Potrebbe esserci qualche perturbazione, un po’ di perturbazione”.

Una delle possibili chiavi di lettura la fornisce allora il Segretario del Tesoro Scott Bessent: “Il mercato e l’economia sono diventate dipendenti dalla spesa del Governo e ora ci sarà una fase di detox”. Nel mirino ci sono i “deficit gemelli”, fiscale e commerciale, da sempre sostenuti dal primato del dollaro e della forza economica USA. Ma oggi queste certezze vacillano. I dazi colpiranno i consumi interni, che non potranno più contare su una politica fiscale espansiva, stando alle linee rosse tracciate da Trump. L’unico sostegno potrebbe arrivare da una politica monetaria accomodante. Su questa il Presidente sembra ancora puntare per sostenere i T-Bond e dare ossigeno a un debito privato mai così elevato nella storia in termini assoluti, con una percentuale di insolvenze sulle carte di credito in impennata (massimi da fine 2008).

Dopo l’indipendenza energetica gli USA hanno dato il via ad una ristrutturazione tesa a riequilibrare la bilancia dei pagamenti. Una partita che l’Italia visse nel 2011, anche se con punti di partenza decisamente diversi. Una “cura” che tradizionalmente l’opinione pubblica fatica a digerire e che deve necessariamente contemplare tra gli effetti collaterali il rallentamento dell’economia e, in casi gravi, pure una recessione. Anche al costo di mostrarsi vulnerabili – nel breve termine – agli occhi degli investitori.

Di Gianmaria Vianova. (Inside Over)

Recevez notre newsletter et les alertes de Mena News


À lire sur le même thème