(Roma, 04 febbraio 2025). Dopo aver sostenuto per anni l’organizzazione e l’avanzata delle forze anti-Assad che nel dicembre del 2024 hanno costretto l’ex presidente siriano a fuggire a Mosca, favorendo l’instaurazione di uno storico cambio di potere a Damasco, ora la Turchia potrebbe assumere un ruolo di maggiore responsabilità e presenza in territorio siriano dal punto di vista sia economico che militare. A confermare questo scenario alla stampa, sono state alcune fonti del nuovo apparato di sicurezza siriano che hanno sviscerato dei dettagli sul contenuto dell’incontro in scena ad Ankara fra il presidente turco Erdogan e l’attuale leader siriano Ahmad al-Sharaa (noto in passato anche con il nome di battaglia di Al-Jolani).
Al centro del bilaterale c’è un patto in costruzione fra Ankara e Damasco, che coinvolgerà direttamente i due rispettivi eserciti soddisfacendo, al contempo, gli appetiti e gli obiettivi geopolitici regionali della Turchia, che in Siria ha storicamente un forte accumulo di interessi rappresentati anche dall’attività della propria formazione mercenaria proxy riunita sotto la sigla di Esercito nazionale siriani (Sna). Anche per questa ragione Erdogan vede estremamente di buon occhio il nuovo corso politico siriano, che ha sostenuto anche e soprattutto per sbarazzarsi dell’Iran, una delle principali potenze regionali antagoniste alleata del regime di Assad.
Secondo i termini conosciuti dell’accordo, nella Siria centrale, precisamente nella vasta zona desertica nota come Badiyah, sorgeranno due nuove basi aeree turche, utili soprattutto ad ampliare il perimetro territoriale con cui l’esercito di Erdogan può raggiungere i propri scopi militari contro i combattenti curdi noti come unità di protezione popolare (YPG), una formazione che Ankara considera come terroristica e legata al partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) che dalla metà degli anni ottanta è in aperto conflitto con la Turchia. La Turchia, oltre alla promessa di un vasto “sostegno al popolo siriano attraverso piattaforme multilaterali”, avrà inoltre un ruolo di addestramento del nuovo esercito, dopo che Sharaa nelle scorse settimane ha sciolto la precedente formazione militare regolare che faceva riferimento al regime di Assad. Un compito non facile, se si pensa soprattutto che la sfida del nuovo governo siriano è quella di far convogliare diversi gruppi militari accomunati dall’opposizione ad Assad, ma con affiliazioni politiche e religiose differenti.
Mentre la nuova Siria si avvicina sempre di più al completamento di una transizione che, secondo le promesse di al-Sharaa, sarà “democratica” e porterà alla formazione di un nuovo governo “entro un mese”, il tema degli interessi stranieri in territorio siriano sembra rimanere il nodo cruciale da cui dipende in maniera esclusiva il futuro del paese. Non si tratta di capire solo se la presenza militare russa in Siria sarà confermata in base alle trattative in corso fra Mosca e Damasco, ma da quanto emerge da un’intervista rilasciata al The Economist da al-Sharaa, anche la presenza “illegale” di Stati Uniti e Israele in Siria è un nodo su cui il nuovo governo intende intervenire. Un’ipotesi che al momento rimane piuttosto irrealistica, ma che vedrebbe la Siria aprirsi completamente in maniera indiscriminata alla Turchia di Erdogan aumentandone il controllo e l’influenza generale sulla regione.
Di Thomas Brambilla. (Inside Over)