(Roma, Parigi, 25 gennaio 2025). Domenica scade il termine per il ritiro del suo esercito in Libano, ma Israele pare non abbia alcuna intenzione di rispettare i termini dell’accordo. Il cessate il fuoco, firmato il 27 novembre, prevedeva una scadenza di 60 giorni per completare il ritiro dell’Israel Defense Forces dal Sud del Libano. Tuttavia, l’ambasciatore di Tel Aviv negli Stati Uniti, Michael Herzog, ha dichiarato che “sta discutendo con l’amministrazione Trump per prorogare la presenza dell’IDF oltre la scadenza, fissata per domenica”. Dichiarazione che arriva una settimana dopo che gli USA avevano “garantito al Libano il completo ritiro delle forze israeliane dai territori occupati”. Fatto che, alla luce dei recenti sviluppi, resta problematico.
Quanto alle motivazioni ufficiali, Herzog ha evidenziato che la permanenza dell’IDF, oltre i termini previsti, “è necessaria affinché l’esercito libanese possa dispiegare le proprie forze e portare a termine la missione in conformità con l’accordo”, ovvero il ritiro di Hezbollah a nord del fiume Litani. A tal proposito, Al-Manar News sottolinea come l’esercito libanese si sia più volte lamentato del fatto che il suo dispiegamento “fosse ostacolato proprio dalle forze di occupazione”.
Ci sarebbero altre ragioni che spiegano meglio quanto richiesto da Israele. Il quotidiano Ynet, infatti, scrive che il primo ministro, Benjamin Netanyahu, “sta cercando di rallentare o ritardare il ritiro militare, a causa, tra le altre cose, della pressione di Bezalel Smotrich”. Va ricordato che Bibi ha recentemente perso l’appoggio del partito Potere Ebraico guidato da di Ben-Gvir, che ha lasciato la coalizione di governo per passare all’opposizione a causa dell’accordo su Gaza. Fatto che rende necessaria una più salda intesa con il ministro delle Finanze Smotrich, affinché questo non segua la strada di Ben-Gvir.
Una tenue speranza che Israele faccia quanto dovuto è data dalla spinta della Sicurezza, come rivelato da Yedioth Ahronoth, che ha riferito le preoccupazioni di diversi alti funzionari secondo i quali non ritirarsi comprometterebbe i successi conseguiti da Tel Aviv nella recente guerra.
Nessuna concessione
Dal canto suo, Hezbollah ha dichiarato che “qualsiasi proroga dell’occupazione israeliana sarà considerata una flagrante violazione dell’accordo e una persistenza nell’intaccare la sovranità libanese”, aggiungendo che “i tentativi di Netanyahu, e del suo governo, di aggirare gli impegni presi, non saranno accettati”.
A tal proposito, Channel 14, canale televisivo israeliano filo governativo, ha affermato che “l’esercito di Tel Aviv è pronto a qualsiasi scenario e risponderà in modo duro e immediato a qualsiasi violazione da parte di Hezbollah”.
Le continue violazioni del cessate il fuoco
La permanenza delle proprie truppe oltre il limite previsto dall’accordo, non sarebbe certo la prima violazione messa a segno da Tel Aviv. Dal 26 novembre scorso, infatti, “Israele ha violato 618 volte il cessate il fuoco in vigore”, con innumerevoli incursioni dell’esercito, bombardamenti, raid, operazioni di rastrellamento, spari di carri armati e distruzioni di strade e case con bulldozer. Gli ultimi episodi si sono verificati proprio ieri, con violenti raid sia nei sobborghi occidentali di Mays al-Jabal che nella località di al-Qantara.
Quella che Israele sta cercando di pianificare è una proroga di un accordo che, nei fatti, come si evince dai dati forniti, “non è mai realmente entrato in vigore”. Si tratta piuttosto di “un’estensione dell’occupazione israeliana del Libano meridionale, che comporta – riferisce Antiwar – il divieto agli abitanti dei villaggi di tornare nelle loro abitazioni che, nel frattempo, le truppe israeliane stanno distruggendo”.
Di Claudia Carpinella. (Inside Over)