(Roma, 15 novembre 2024). Su un battello militare, al fianco dei suoi soldati e pronto a guidare le battaglie contro l’Isis lungo le sponde del Lago Ciad: si è presentato così nei giorni scorsi, a favore di telecamera, il presidente ciadiano Mahamat Déby Itno. Una mossa che, senza dubbio, ha un gran valore propagandistico: l’attuale capo dello Stato infatti, sembra voler ripercorrere le orme del padre, più volte lanciato in prima linea all’offensiva contro i ribelli quando era lui presidente, tanto da rimanere ucciso nell’aprile 2021 durante un tentativo di assalto a N’Djamena.
Dall’altro lato però, l’immagine di Déby in trincea appare alquanto significativa su come proprio il Ciad oggi sia diventato crocevia fondamentale per la lotta al fondamentalismo nel Sahel. Forse il Paese africano è l’ultimo baluardo prima della definitiva presa di possesso della regione da parte delle forze integraliste.
L’attacco che ha ucciso oltre 50 militari
Tutto è iniziato lo scorso 27 ottobre, quando a Ngouboua, località della regione del Lago Ciad al confine con la Nigeria, un gruppo di terroristi ha attaccato un’importante base militare. Un assalto in piena regola, durato diverse ore e contro cui i militari presenti hanno potuto fare ben poco. In quel momento, all’interno delle caserme prese di mira erano presenti almeno 200 soldati, alcuni di loro sono riusciti a rispondere al fuoco mentre altri sono stati colti di sorpresa.
Il bilancio, confermato dallo stesso governo di N’Djamena, parla di oltre 50 vittime accertate. Il Paese ha subito un forte shock e Déby ha promesso subito una rapida risposta. Non si è avuta una vera e propria rivendicazione, tuttavia il governo ha puntato il dito contro Boko Haram. Ossia l’organizzazione terroristica nata in Nigeria e operativa anche nelle aree di confine con il Ciad.
Boko Haram, secondo diversi analisti, è in effetti l’unico gruppo presente nell’area in grado di avere armi ed esperienza tali da mettere sotto scacco le forze di sicurezza ciadiane.
La risposta di N’Djamena
Si è così arrivati, pochi giorni dopo, alle immagini che ritraggono il presidente Déby assieme ai propri soldati: “Non potevo restare nel mio ufficio di N’Djamena sapendo quello che è successo”, ha dichiarato il capo dello Stato sempre a favore di telecamera. Boko Haram, ridimensionata a livello militare in Nigeria per via sia della risposta dell’esercito nigeriano e sia per l’emersione dell’Iswap, un’altra e ben più potente cellula dell’Isis africano, è comunque in grado di compiere attacchi in grande stile.
E forse proprio la situazione in Nigeria sta spingendo i miliziani ad operare in Ciad. Il gruppo da almeno un decennio ha posato sul capo dei propri combattenti il cappello dell’Isis. Un’espansione in Ciad dei terroristi nigeriani, vorrebbe significare l’ingresso definitivo dello Stato Islamico nell’area ciadiana, chiudendo il cerchio nel Sahel.
Lo stesso Ciad infatti, è minacciato a nord e a ovest dalle altre cellule dell’Isis, quelle che controllano larghe fette del Mali, del Burkina Faso e del Niger. Uno sfondamento da queste parti, avrebbe conseguenze deleterie per l’intera regione e anche per l’area nordafricana. Déby di questo ne è consapevole e ha scagliato una lotta senza quartiere ai jihadisti. Al momento, secondo le fonti ufficiali dell’esercito, decine di combattenti sarebbero stati uccisi. Ma la strada per la stabilizzazione dell’area del lago Ciad è ancora molto lunga e decisamente impervia.
Di Mauro Indelicato. (Inside Over)