(Roma, 05 novembre 2024). Via Yoav Gallant, dentro Israel Katz: Benjamin Netanyahu cambia il ministro della Difesa e manda un messaggio chiaro, ovvero che in Israele comandano i falchi politici e lo spazio d’azione per la componente delle forze armate più aperta a contenere le escalation belliche mediorientali si va restringendo sempre più.
La notizia giunge come un fulmine a ciel sereno sia per la natura improvvisa della cacciata di Gallant, dopo mesi di frizione, che per il nome del successore.
Gallant a lungo ha operato per ricordare a Bibi che in Israele il potere militare è tutto fuorché subordinato alle logiche di quello politico, specie nella sua versione ultranazionalista incarnata dalla coalizione di governo. Il titolare della Difesa aveva già subito un primo provvedimento di licenziamento nel 2023, dopo aver criticato la riforma della giustizia dell’ultradestra di governo, e a inizio 2024 si è scontrato con Netanyahu circa la volontà del primo ministro di portare fino in fondo la guerra a Gaza.
Gallant nelle ultime settimane ha dovuto sobbarcare una serie di oneri crescenti con l’apertura del fronte libanese, l’aumento delle perdite a Gaza e lo scambio di colpi tra Israele e Iran. Di fronte a una guerra che ha visto Israele, dopo i massacri del 7 ottobre 2023, pagare un pesante tributo di sangue, il generale che guidava la Difesa israeliana ha sempre mantenuto un atteggiamento pragmatico. Gallant ha mai condotto il conflitto contro Hamas focalizzando l’attenzione dall’obiettivo di creare un cuscinetto di sicurezza per Israele. Non per ragioni umanitari, dato che l’Israel Defense Force non ha lesinato i raid contro civili e infrastrutture non militari a Gaza, ma per la prudenza da soldato che vede la guerra come un’attività destinata a raggiungere fini securitari. Da qui la sua avversione a coloro che, come gli esponenti messianici e ultranazionalisti del governo quali Itamar Ben-Gvir, proponevano di annettere allo Stato Ebraico la Striscia di Gaza nel dopoguerra.
Per vincere una guerra, la strategia richiede obiettivi chiari che tengano conto dei mezzi disponibili e dei risultati attesi. Yoav Gallant è un esempio di comandante con questo approccio rigoroso. 65 anni, una laurea in economia e un passato da boscaiolo in Alaska, ha forgiato il proprio carattere con varie esperienze prima di entrare nello Shayetet 13, il corpo d’élite della Marina israeliana.
Nel 2009, alla guida delle forze israeliane nel sud, ha diretto l’operazione “Piombo Fuso”, uno dei principali interventi contro Hamas, nemico che conosce a fondo. Dall’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas, Gallant ha cercato di mediare tra la necessità di azioni militari realistiche e le forti pressioni per una risposta di ritorsione. Tuttavia, ha anche espresso critiche alla tendenza di Netanyahu a favorire divisioni interne tra i vertici della sicurezza, limitando il contatto diretto tra Gallant e figure chiave come il capo del Mossad, David Barnea, e il capo dello Shin Bet, Ronen Bar. Insomma, con la sua uscita dal governo Israele perde una voce distonia rispetto alla marea montante dei falchi millenaristi e messianici attivi su ogni fronte.
La nomina di Katz è un manifesto in tal senso. L’ex ministro degli Esteri è l’artefice della campagna politica di distacco tra Tel Aviv e la comunità internazionale. La stessa comunità a cui si è però appellato a marzo come organizzazione terroristica il corpo delle Guardie della Rivoluzione, i cosiddetti Pasdaran iraniani, pubblicando sui profili del ministero l’immagine di missili di Teheran che piovevano sul Colosseo. Deputato del Likud dal 1998, già ministro delle Finanze e coordinatore dell’intelligence nei precedenti governi di Netanyahu, fautore in passato degli insediamenti di coloni nel Golan occupato alla Siria, dell’annessione della Cisgiordania e della deportazione delle famiglie dei sospetti terroristi, di recente ha dichiarato il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres persona non grata in Israele. La sua nomina alla Difesa testimonia la presa totale di potere dei falchi nazionalisti sui militari pragmatici. Perpetrando, con la cacciata di Gallant, un trend che dagli Usa all’Ucraina vede in molti Paesi i soldati essere cauti e misurati, rispetto ai politici, sugli scenari bellici. Inviando lezioni di pragmatismo che spesso costano loro il posto solo per il fatto di conoscere, davvero, cosa siano la guerra e le morti.
Di Andrea Muratore. (Inside Over)