(Roma, 03 novembre 2024). Il Medio Oriente, in una delle sue stagioni più difficili, oggi più che mai sta alla finestra aspettando l’esito della competizione elettorale negli Stati Uniti. E non sembra essere un’aspettativa passiva: nessuno dei vari attori regionali sembra voler recitare il ruolo di mero spettatore, accontentandosi di osservare da lontano le ultime ore di campagna elettorale. Nei vari schieramenti dell’ingarbugliato puzzle mediorientale, chi più o chi meno tutti sembrano sperare nel successo dell’uno o dell’altro candidato in corsa per la Casa Bianca.
Netanyahu tifa Trump, Khamenei spera in Harris
I due principali attori mediorientali, quelli per intenderci impegnati in queste ore in un continuo scambio di colpi e di raid, sono su due fronti opposti anche in relazione alle elezioni Usa. In Israele infatti si tifa per Donald Trump, in Iran, al contrario, si vede con sospetto la possibile rielezione del tycoon newyorkese. Quando un anno fa è iniziata la guerra a Gaza, il premier israeliano Benjamin Netanyahu più volte ha lasciato intendere di voler aspettare il voto per la Casa Bianca prima di prendere decisioni definitive sulla fase successiva al conflitto. Trump del resto è colui che, da presidente in carica, ha spostato l’ambasciata Usa a Gerusalemme e ha lavorato per favorire un accordo tra Tel Aviv e alcuni Paesi sunniti.
Tuttavia, non sempre tra i due i rapporti sono stati idilliaci. Pochi mesi fa, nel corso di un’intervista, lo stesso candidato repubblicano ha apertamente criticato Netanyahu e ha rinfacciato all’attuale premier israeliano di averlo lasciato da solo nella notte in cui, nel gennaio 2020, l’aviazione Usa ha colpito e ucciso il generale iraniano Solemaini. Ad ogni modo, spesso negli ultimi mesi di amministrazione Biden i rapporti tra “Bibi” e la Casa Bianca hanno sfiorato il minimo storico. Da qui l’auspicio, da parte del Governo israeliano, di un cambio di coloro dell’amministrazione.
Di segno opposto invece gli umori a Teheran. Trump è colui che, pochi mesi dopo il suo insediamento nel 2017, ha stroncato gli accordi sul nucleare iraniano e ha inasprito le sanzioni contro la Repubblica Islamica. I vertici iraniani non hanno espresso una posizione ufficiale, ma diverse fonti di intelligence hanno fatto intuire di non vedere di buon occhio un’elezione di Trump. Lo stesso nuovo attacco contro Israele, deciso dopo i raid dello Stato ebraico dei giorni scorsi, non sarebbe stato attuato nell’immediato proprio per la preoccupazione di favorire il candidato repubblicano. Sulla stampa Usa, nei mesi scorsi sono apparse anche indiscrezioni (non confermate ufficialmente) relative a possibili piani iraniani volti all’eliminazione di Donald Trump.
L’apparente neutralità delle petromonarchie
Meno esposti appaiono al momento gli altri attori regionali. A partire dall’Arabia Saudita, il cui Governo ha rapporti solidi con gli Stati Uniti da diversi decenni e non appare orientato a far trapelare proprie preferenze. Una neutralità apparente che coinvolge anche Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Qatar.
Nessuno di loro sembra avere un candidato di riferimento e questo perché, a prescindere dall’esito elettorale, i rapporti tra Washington e i Paesi del Golfo non subiranno drastici cambiamenti. Né in senso positivo e né in senso negativo.
Di Mauro Indelicato. (Inside Over)