«Li elimineremo tutti». Così Israele ha ucciso i suoi nemici

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(Roma, 17 ottobre 2024). Negli ultimi mesi le Idf e il Mossad sono riusciti a eliminare i principali nemici di Israele, tra alti comandanti e leader politici, infliggendo un durissimo colpo ad Hamas ed Hezbollah

Come in una sequenza di birilli, in un anno di guerra a Gaza come in Libano, Tel Aviv è riuscita a smascherare e cogliere in fallo i suoi nemici, uno dopo l’altro.

Dapprima, fu la morte di Ismail Haniyeh che, oltre a sconvolgere i nemici di Israele, colpì Hamas e l’Iran per via delle modalità dell’operazione, ma soprattutto per il luogo: Teheran. L’uomo venne assassinato nel luglio scorso con un ordigno esplosivo introdotto di nascosto nella guesthouse di Teheran dove alloggiava: l’ordigno era stato nascosta circa due mesi prima, nonostante la struttura fosse gestita e protetta dal Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica e faccia parte di un grande complesso, noto come Neshat, in un quartiere di lusso nel nord di Teheran. Haniyeh si trovava nella capitale iraniana per l’insediamento presidenziale. La bomba venne fatta esplodere a distanza, dichiararono alcuni funzionari una volta che confermato che il leader si trovasse nella sua stanza. L’esplosione uccise anche una guardia del corpo.

Alla fine dello scorso luglio, invece, l’esercito israeliano affermò di aver ucciso Muhammad Deif, ritenuto uno degli ideatori dell’attacco del 7 ottobre contro Israele. Deif è stato ucciso in un attacco aereo israeliano su un complesso nella parte meridionale di Gaza il 13 luglio, secondo le fonti israeliane. Dal 2002 Deif era il leader dell’ala militare di Hamas, le Brigate al-Qassam, nonostante Israele lo avesse inserito nella sua cosiddetta lista dei « più ricercati » quasi tre decenni fa. La capacità di Deif di eludere i servizi segreti israeliani gli aveva fatto guadagnare il soprannome di « uomo dalle nove vite », poiché sfuggito a molteplici tentativi di assassinio.

Poi, Israele si è rivolta verso nord, in Libano. Obiettivo delle operazioni, spingere Hezbollah più a nord, ma soprattutto fare piazza pulita dei proxy iraniani, colpendo uno dopo l’altro i suoi pezzi da novanta. Eliminati, infatti, tutti i comandanti di alto rango dell’organigramma, alla fine di settembre è toccato ad Hassan Nasrallah, colpito in un raid avvenuto durante una riunone della leadership del gruppo. Il leader dei miliziani di Dio ha trovato la morte nello stesso quartier generale del Partito nella zona di Dahiyeh, in quel di Beirut: lo stesso luogo in qui sono morti altri elementi di spicco, oltre che il suo successore e cugino Hashem Safi Ed-Dine.

L’ultimo nella lunga scia di raid e trappole tese, è Yahya Sinwar. Un caso fortuito, sostiene Israele. Il raid avvenuto ieri non aveva nel mirino Sinwar e le forze dell’Idf che operavano nell’area non sapevano che il leader di Hamas potesse trovarsi nell’edificio colpito. A rivelarlo il popolare canale Channel 12 che svela alcuni dettagli dell’operazone: le forze israeliane avevano scorto diversi combattenti entrare nell’edificio e per questo è stato poi ordinato un bombardamento che ha fatto crollare la struttura. E’ stato solo dopo che i soldati israeliani, ispezionando le macerie, si sono accorti che « uno dei terroristi uccisi assomigliava molto a Sinwar ».

Le eliminazioni a ruota, oltre che indebolire il nemico, adesso pongono Tel Aviv in una posizione di forza assoluta, da cui negoziare con Hamas. Il governo israeliano potrà sfruttare la morte di Sinwar e gli altri per garantire un accordo immediato sulla liberazione degli ostaggi. Non solo, ma questa è una richiesta che giunge a gran voce dall’Hostage Families Forum a Benjamin Netanyahu. « Insieme all’apprezzamento per il significativo risultato (dell’apparente uccisione di Sinwar), le famiglie degli ostaggi esprimono grave preoccupazione per la sorte dei 101 ostaggi che sono ancora tenuti prigionieri da Hamas a Gaza e chiedono che il governo sfrutti il risultato militare per garantire un accordo immediato per ottenere il loro ritorno », afferma la dichiarazione del forum.

« L’eliminazione di Sinwar è una pietra miliare importante sulla strada verso la vera vittoria, che sarà raggiunta solo con il ritorno dei 101 rapiti », continua il gruppo nella sua nota. Il messaggio è chiaro: eliminato il nemico e le menti degli attacchi, ora bisogna cedere. Se questo non dovesse accadere, Tel Aviv potrebbe iniziare a tremare anche dall’interno.

Di Francesca Salvatore. (Il Giornale)