(Roma 01 ottobre 2024). L’attacco che nelle scorse ora l’Iran ha portato contro Israele usando almeno 200 missili balistici è destinato con ogni probabilità a diventare uno dei tanti misteri della storia infinitamente tormentata del Medio Oriente. Secondo le prime analisi, i bersagli del lancio erano tre basi dell’aeronautica israeliana e un quartier generale dell’intelligence a Nord di Tel Aviv. E lo scopo, almeno secondo quanto dichiarato dai portavoce delle Guardie della Rivoluzione, era vendicare “l’assassinio del capo di Hezbollah Hassan Nasrallah e di un comandante di alto rango della forza Quds, Abbas Nilforoushan, da parte di Israele”.
Obiettivi e scopi, però, non corrispondono alle modalità dell’azione. Già dodici ore prima che i missili iraniani prendessero il volo, il New York Times poteva annunciare l’attacco, dandolo per imminente. Le autorità israeliane hanno poi confermato di essere state avvertite molto in anticipo da quelle Usa del fatto che l’Iran si apprestava ad attaccare. Così in anticipo che Benjamin Netanyahu avrebbe avuto il tempo di chiamare Vladimir Putin per chiedergli di provare a fermare gli iraniani. Iraniani che a loro volta, secondo diverse fonti, avrebbero addirittura avvertito delle proprie intenzioni. Chiudiamo notando la strana contemporaneità tra l’ondata missilistica e l’attentato a Jaffa, dove otto persone sono state falciate per strada da due terroristi armati di mitra.
Non meno strano è il comportamento delle autorità iraniane. È ancora fresco il ricordo degli interventi in cui il nuovo presidente, il riformista Masoud Pezeshkiani, aveva espresso presso una lunga serie di interlocutori diversi (il russo Shoigu, il premier britannico Starmer, il segretario di Stato vaticano Parolin, il presidente francese Macron…) una certa inclinazione conciliatoria, pur tra le abituali accuse a Israele. E ancor più fresco è il ricordo di quel “nuovo inizio” nelle relazioni tra Iran e Occidente che lo stesso Pezeshkian aveva auspicato nel suo primo discorso all’Assemblea Generale dell’Onu. E nemmeno è possibile dimenticare i ripetuti appelli alla “pazienza strategica” invocata da Alì Khamenei, la guida suprema dell’Iran.
Per carità, le parole valgono quel che valgono. E a Teheran hanno capito benissimo che i colpi che Israele ha portato contro Hezbollah, fino all’eliminazione del leader Nasrallah, erano tutti colpi portati all’influenza nella regione che l’Iran ha costruito in tanti anni e a costi, anche umani, non indifferenti.. È però anche possibile che, proprio per queste ragioni, alla fine la pressione ad agire che da lungo tempo i generali e le milizie esercitavano sul più cauto potere politico-religioso abbia ottenuto il proprio scopo. Magari mitigata da quegli “avvertimenti” che hanno limitato i danni dell’attacco iraniano a Israele.
Vedremo gli sviluppi nelle prossime settimane. E vedremo se c’è qualche cambiamento in corso a Teheran. Ma pare tuttora impossibile che l’Iran possa ritenersi all’altezza di uno scontro frontale con Israele e con il sostegno degli Usa e di diversi Paesi occidentali e arabi che questo porterebbe con sé.
Di Fulvio Scaglione. (Inside Over)