Libano : una società pronta a saltare in aria anche senza guerra tra Hezbollah e Israele

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(Roma, 25 settembre 2024). Il Libano è il Paese con più rifugiati in Medio Oriente. Si tratta di un dato che contraddistingue Beirut già da molto tempo, da quando cioè ha iniziato ad accogliere al suo interno i rifugiati palestinesi dopo la guerra del 1948. Dal 2011 in poi, il Libano ha subito anche l’afflusso di cittadini siriani a seguito dello scoppio della guerra civile a Damasco.

Oggi c’è un’altra e non meno significativa emergenza, quella relativa ai rifugiati interni. La fuga di migliaia di persone dalle regioni meridionali del Libano, quelle più esposte alla potenziale escalation tra Israele ed Hezbollah, potrebbe quindi in tal senso acuire ulteriormente la gestione dei rifugiati. Una gestione che, già oggi, non ha mancato di sollevare problemi.

Il rischio implosione dell’economia libanese

I numeri parlano chiaro: tra rifugiati e discendenti dei rifugiati, in Libano risiedono oggi almeno 300 mila palestinesi. Un numero molto elevato in un Paese che conta, nel complesso, poco più di 6 milioni di abitanti. La gestione dei vari campi profughi non è mai stata semplice e, in passato, ha generato tensioni all’interno della fragile società.

Ma la comunità palestinese presenta comunque numeri più esigui rispetto a quella dei rifugiati siriani. Dal 2011 al 2015, secondo i dati dell’Unhcr (l’Agenzia Onu per i Rifugiati), oltre 800 mila siriani hanno trovato rifugio in territorio libanese. Da allora in poi, Beirut non ha più nemmeno provato più a contare l’esatto numero della diaspora siriana, ma si calcola che ad oggi potrebbero essere presenti nel Paese almeno 1.5 milioni di rifugiati scappati dalla guerra che da 13 anni sta funestando la Siria.

La prima preoccupazione legata al nuovo flusso di rifugiati, questa volta tutto interno, è di natura economica: mantenere i campi profughi ha un costo non indifferente, specialmente in una fase in cui le casse dello Stato libanese sono vuote e non si hanno i soldi nemmeno per pagare le società che forniscono l’energia elettrica. L’allestimento di nuovi campi per accogliere i profughi interni graverà ulteriormente sulle casse e sui bilanci già disastrati. Tra palestinesi, siriani e cittadini del sud del Libano, Beirut già nei prossimi mesi potrebbe dover far fronte ai bisogni di oltre 2 milioni di rifugiati.

Preoccupano i delicati equilibri sociali

Eppure, il problema economico potrebbe addirittura essere secondario. A preoccupare maggiormente sono infatti i contraccolpi di natura sociale. Il Libano è un Paese composto da diverse comunità, tanto che il potere, dopo la sanguinosa guerra civile degli anni Settanta e Ottanta, è spartito tra i rappresentanti dei tre principali gruppi religiosi: sunniti (a cui spetta la designazione del premier), cristiani (a cui spetta la presidenza della Repubblica), sciiti (a cui va la presidenza del Parlamento e a cui appartengono gli Hezbollah).

Gli equilibri tra le tre comunità sono precari e sottili, tanto che in Libano, per evitare rivalse e rivendicazioni, non si effettua un censimento ufficiale dal 1932. Non solo, ma le varie componenti religiose hanno specifiche aree di influenza: i sunniti vivono soprattutto nel Nord e nelle città costiere, i cristiani nelle aree del Monte Libano e in diverse comunità tra il Nord e il Sud del Paese, gli sciiti sono prevalentemente a Sud e nella Valle della Bekaa.

Lo spostamento interno di un gran numero di persone da Sud a Nord potrebbe portare a contatti ravvicinati tra gruppi e comunità diverse e quindi ridare fiato alle tensioni. Del resto, se Beirut non ha più provveduto a effettuare un vero censimento negli ultimi 90 anni, è perché diffidenze reciproche e tensioni latenti non hanno mai lasciato il Paese. Il Libano cioè, potrebbe implodere anche prima dell’inizio di un’eventuale escalation tra Hezbollah e Israele.

Di Mauro Indelicato. (Inside Over)