(Roma, 19 settembre 2024). Alla fine di luglio, Israele ha assassinato Ismail Haniyeh, il capo politico di Hamas, colpito nel cuore di Teheran da una bomba piazzata nell’appartamento che lo ospitava. Ai primi di settembre, un commando delle forze speciali dello Stato ebraico ha condotto un’ardita operazione in Siria, dove un commando ha raggiunto in elicottero uno stabilimento segreto sotterraneo, costruito dagli iraniani, che produceva razzi di precisione per Hezbollah e lo ha fatto saltare. Infine, in questi giorni, l’esplosione degli apparati usati dai militanti di Hezbollah (e non solo da loro), dai cercapersone alle autoradio, in Libano. Il che significa che è stata impiegata un’arma nuova e sconosciuta, oppure che i servizi segreti dello Stato ebraico sono stati in grado di infiltrare le catene di rifornimento di Hezbollah, se non addirittura di vendere all’organizzazione, attraverso aziende fasulle, gli apparecchi poi destinati a esplodere.
I servizi segreti di Israele, in particolare il Mossad, non sono certo nuovi alle operazioni clamorose o alle eliminazioni più o meno mirate. Gli episodi citati, però, hanno una caratteristica comune: la straordinaria capacità di pianificare missioni complesse e di penetrare nel territorio e negli ambienti del nemico. Una capacità che né l’Iran né Hezbollah possono avvicinare, anche se fonti israeliane attribuiscono alle milizie libanesi, per esempio, diversi tentativi di attentare alla vita dell’ex ministro della Difesa Moshe Ya’alon, quest’anno con dei missili, l’anno scorso con una mina piazzata nei pressi della sua casa.
Ma la palese condizione di superiorità, come abbiamo visto, ha stordito gli avversari. L’Iran, che aveva giurato vendetta dopo l’uccisione di Haniyeh, è rimasto immobile. E non pare proprio che Hezbollah, i cui militanti si sono ritrovati piccoli ordigni esplosivi in tasca o nell’automobile, abbia le capacità per rispondere in maniera adeguata all’offesa, nonostante che Hashem Safieddine, capo del servizio esecutivo del movimento, annunci come da programma tremenda vendetta.
Tutto questo è già stato ben spiegato dal nostro Andrea Muratore in un articolo di questi giorni. Quello che qui ci interessa è provare a capire se ciò che sta accadendo avvicina una guerra aperta tra Israele e l’Hezbollah libanese, come molti peraltro prevedono. Oppure se potrebbero, paradossalmente, allontanarla. Tutto sembrerebbe deporre a favore della prima ipotesi, dalla postura di Benjamin Netanyahu e del suo Governo alle azioni dei comandi militari di Israele, che da molte settimane accumulano e spostano truppe e mezzi corazzati nel Nord del Paese, in prossimità del confine con il Libano. Oltre, naturalmente, alle infinite dichiarazioni bellicose dell’uno come degli altri. Eppure…
È davvero senza significato il fatto che Israele con i servizi segreti riesca a colpire Hezbollah in casa sua (alla lettera) o Hanyeh in casa degli ayatollah mentre con l’esercito non riesce a catturare il nuovo capo di Hamas, Yahya Sinwar, nella Striscia di Gaza occupata da mesi e di giorno in giorno massacrata e desertificata? A noi pare invece che un significato ci sia, e sia questo: o la strategia scelta da Benjamin Netanyahu come risposta ai massacri di Hamas del 7 ottobre 2023, e che ha provocato finora 41 mila morti tra i civili, era sbagliata fin dal principio o era basata sull’obiettivo puro e semplice di decimare gli abitanti di Gaza.
Ma i risultati, come vediamo, a Gaza sono quelli che sono. Hamas non è stato sradicato: è acquattato finché dura l’occupazione israeliana, e intanto continua a colpire quando e dove può. La censura militare israeliana blocca le notizie ma i caduti non mancano. E nel frattempo Israele sta diventando un paria internazionale, abbandonato persino da Paesi come la Germania (lo raccontiamo oggi in altra parte del giornale) che lo avevano sempre sostenuto senza se e senza ma.
A fronte di tutto questo c’è la straordinaria capacità di intimidazione del nemico delle operazioni mirate di cui dicevamo prima. Assai superiore, almeno per quanto visto finora, di scontri aperti che implicano l’impiego delle forze armate e una campagna in territorio ostile, con le relative perdite di uomini, mezzi, quattrini. D’altra parte, almeno per quanto riguarda il Libano, Israele non ha certo dimenticato l’esperienza del 2006, con la guerra frontale contro Hezbollah, la parziale invasione del Paese, oltre 12 mila missioni di combattimento e, come risultato finale, il rafforzamento in Libano della milizia sciita filo-iraniana e la crisi della dirigenza israeliana, fino alle dimissioni del capo di stato maggiore Dan Halutz per proteggere il primo ministro Ehud Olmert.
Anche oggi sarebbe impossibile scontrarsi con Hezbollah senza devastare almeno una parte del Libano, la cui popolazione è senza dubbio contraria a ogni ipotesi di guerra, e senza provocare un grande numero di vittime civili. Forse è il segnale che le speranze sono ridotte al lumicino ma ci pare che queste ultime operazioni di guerra ibrida possano allontanare, invece che avvicinare, la prospettiva di una guerra aperta. Operazioni che da un lato esaltano le capacità delle forze di sicurezza dello Stato ebraico e dall’altro condannano la miopia crudele della sua direzione politica.
Di Fulvio Scaglione. (Inside Over)