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Non fate fallire i negoziati su Gaza, altrimenti… Il monito del capo di Stato Maggiore USA

(Roma, 09 settembre 2024). Gli Stati Uniti si stanno preparando per l’ipotesi che i colloqui di pace in Medio Oriente per portare alla cessazione delle ostilità tra Israele e Hamas a Gaza naufraghino. Parola del capo degli Stati Maggiori Congiunti (Jcs) delle forze armate Usa, generale Charles Q. Brown, che interrogato sul tema dal “Financial Times” ha confermato che è attiva una riflessione su “cosa possa succedere qualora i colloqui andassero in stallo o si fermassero del tutto”.

Per Brown un naufragio dei negoziati in via di svolgimento col coinvolgimento di Usa, Egitto e Qatar porterebbe giocoforza con sé un “aumento delle attività militari” nell’area e il rischio di “errori di valutazione capaci di causare l’ampliamento del conflitto” oltre Gaza. Per gli Usa la priorità, dunque, riguarda tanto la protezione degli assetti militari nella regione quanto evitare che un flop diplomatico trascini con sé la minaccia di un incendio generalizzato.

Le premesse, del resto, non mancano. La stessa questione politica che, nonostante la contrarietà sul tema dei vertici militari, sta spingendo il governo israeliano di Benjamin Netanyahu a pressare per mantenere il controllo del Corridoio Filadelfia che separa la Striscia di Gaza e l’Egitto anche in caso di cessate il fuoco mostra un irrigidimento diplomatico. A cui si aggiungono, da un lato, la crescita della pressione israeliana in Cisgiordania volta a accelerare la presa di possesso di Tel Aviv sul territorio palestinese e dall’altro il drastico cambio di passo di Hamas sugli ostaggi ancora nelle sue mani dal 7 ottobre scorso, come dimostra il recente assassinio di sei di loro a Gaza.

Insomma, dalle parole di Brown traspare la sensazione che quella che può naufragare tra Il Cairo e Doha sia l’ultima possibilità di accordarsi su una base politica. E che dopo il fallimento di questi colloqui resti il caos: la rivalità Israele-Iran, il rinfocolamento del conflitto nel Mar Rosso, i movimenti di Hezbollah in Libano e delle milizie sciite tra Siria e Iraq, il perdurare delle minacce jihadiste in Medio Oriente e la presenza di un arco di crisi che, dal Corno d’Africa al Sahel e alla Libia, avvolge la regione nelle aree limitrofe non può far dormire sonni tranquilli agli strateghi.

E viene da riflettere se, forse, le parole di Brown non lascino trasparire un velato j’accuse alla gestione di una guerra ove la posizione di Washington verso Israele è stata in larga misura condizionata dall’alleanza bilaterale. Impedendo, in passato, agli Usa di far adeguata pressione su Netanyahu per accelerarne la fine. Ora Joe Biden ha alzato, retoricamente, i toni verso Bibi sottolineando la necessità di un pronto cessate il fuoco. Ma Washington, che da undici mesi vede i suoi vertici fare avanti e indietro per il Medio Oriente, sta gradualmente perdendo la fiducia. E le parole di Brown mostrano che nella regione anche gli Usa si preparano a fronteggiare l’ignoto. Ovvero ciò che una potenza-guida dovrebbe saper, nei limiti del possibile, prevenire. In sostanza, l’attestazione di un fallimento politico in continuo sdoganamento.

Di Andrea Muratore. (Inside Over)

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