(Roma, 22 luglio 2024). Secondo indiscrezioni di stampa Joe Biden avrebbe ritardato il suo ritiro in quanto non convinto delle possibilità di vittoria della vicepresidente contro Donald Trump
“Farò qualsiasi cosa in mio potere per unire il partito democratico e la nazione per sconfiggere Donald Trump”. È con queste parole che Kamala Harris ha commento sui social la decisione del presidente Biden di fare un passo indietro dalla corsa per la Casa Bianca a meno di un mese dalla convention di Chicago. Un ritiro che è stato accompagnato da un chiaro endorsement a favore dell’ex procuratrice della California. Nominarla come vice “è stata la migliore decisione che abbia preso”, si legge nel comunicato rilasciato dal vecchio Joe. Eppure, rivela in queste ore la stampa Usa, il sostegno di Potus alla sua numero due non sarebbe stato privo di ombre e di tormenti.
È in particolare Axios a riportare che, dopo il disastroso dibattito televisivo del 27 giugno, il ritardo di Biden nel gettare la spugna sia stato alimentato proprio dai dubbi nutriti dal presidente e dai suoi più fidati assistenti sulle effettive chance di Harris di affondare la corazzata Trump. Tali riserve, confermate da tre stretti consiglieri anonimi di Biden, non sarebbero però limitate agli ambienti della West Wing ma sarebbero condivise anche da altri esponenti del partito dell’asinello.
Sulla carta Kamala Harris, oltre all’appoggio del suo boss, ha incassato quello di Bill e di Hillary Clinton e di parlamentari influenti tra i quali Pramila Jayapal, alla guida del gruppo dei deputati progressisti a Capitol Hill. Spiccano però le prese di posizione dell’ex presidente Barack Obama, del leader dei dem alla Camera Hakeem Jeffries e del capo della maggioranza al Senato Chuck Schumer più orientati, almeno per il momento, a garantire un processo di selezione aperto in vista della convention di agosto.
Le perplessità su Harris erano già emerse nel 2021 all’alba della presidenza Biden. Gaffe, passi falsi e uno scarso appeal hanno spesso accompagnato le performance della numero due della Casa Bianca che solo negli ultimi mesi, in parallelo ad un declino psicofisico di Potus sempre più evidente, ha cominciato a raccogliere un maggiore consenso. Ben noti sono anche i sospetti che lo Studio Ovale abbia affidato alla prima donna vicepresidente i dossier più scottanti come quello relativo all’immigrazione per testare, o azzoppare secondo smaliziati commentatori politici, le qualità dell’ex procuratrice.
C’è chi attribuisce la diffidenza di Biden per Harris ad una differenza di personalità e di storia politica. Celtic, il nome in codice attribuito dai servizi segreti all’”irlandese” Joe, si è fatto strada da Wilmington nel Delaware a Washington stringendo mani e cercando il contatto diretto con gli elettori. La Harris, più giovane e proveniente da uno Stato complesso come la California, appare invece più a suo agio con le raccolte fondi che con gli incontri nelle tavole calde d’America.
Un altro elemento che spiegherebbe un certo gelo nei rapporti con lo Studio Ovale riguarderebbe poi la gestione del personale da parte di Harris. Secondo i dati ufficiali solo cinque dei 47 membri del suo staff lavorano ancora alle dipendenze della vice di Biden.
Un effetto, scrive Axios, della durezza con la quale la probabile candidata alla presidenza per i democratici gestisce i suoi sottoposti ed un trattamento che, a questo punto, in molti tra i democratici sperano possa essere riservato a Trump per impedire un suo ritorno al 1600 di Pennsylvania Avenue.
Di Valerio Chiapparino. (Il Giornale)