Perché Hezbollah punta al porto di Haifa

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(Roma, 19 giugno 2024). Haifa è uno dei porti internazionali più importanti dell’area orientale del Mediterraneo, uno scalo piccolo per numeri (movimenta meno della metà dei container di Trieste), ma è ormai chiaro quanto sia interessante dal punto di vista strategico. La Cina lo immagina coinvolto nella Belt & Road Initiative e contemporaneamente è un nodo fondamentale di Imec. Nel progetto del corridoio per connettere India, Medio Oriente, Europa presentato al G20 indiano del settembre scorso, Haifa fa da sbocco verso l’Europa…

“Siamo molto vicini al momento della decisione di cambiare le regole contro Hezbollah e il Libano. In una guerra a tutto tondo, Hezbollah sarà distrutto e il Libano sarà gravemente colpito”, dice Israel Katz, il ministro degli Esteri israeliano, in una dichiarazione su X in cui commenta un video pubblicato dal gruppo terroristico libanese.

Le immagini in questione mostrano uno dei droni (un Hodhod, di cui componentistica e know how sono forniti dall’Iran) che sorvola l’area di Haifa, città marittima situata su un istmo a pochi chilometri dal confine libanese, quello che da mesi è luogo di scambio di colpi tra Israele e Hezbollah (ancora tecnicamente in guerra dal 2006); scambi che recentemente sono cresciuti di livello. Nel video del partito/milizia libanese si vede la città, i complessi residenziali e industriali, le infrastrutture militari e il porto.

Ed è qui che la minaccia di Hezbollah diventa strategica. Il porto di Haifa ospita una base militare che è sede di diverse unità israeliane (anche i sottomarini) e delle training school dell’accademia navale, inoltre è usata dalle unità americane della Sesta Flotta, quelle che si muovono nel Mediterraneo come scalo tecnico. Ma non solo: “[Hassan] Nasrallah (la guida spirituale di Hezbollah, ndr) oggi si vanta di aver filmato i porti di Haifa, gestiti da compagnie internazionali provenienti da Cina e India, e minaccia di attaccarli”, ricorda ancora Katz.

Ecco lo spessore strategico della minaccia. Haifa è uno dei porti internazionali più importanti dell’area orientale del Mediterraneo. Nel settembre 2021, con un investimento di circa un miliardo di euro lo Shanghai International Port Group ha vinto la gara per il nuovo terminal container automatizzato, che ha una capacità di movimentazione annua di un milione di navi, garantita da un contratto a 25 anni su cui gli Usa avevano più che storto il naso — perché ad Haifa gli Accordi di Abramo e la Via della Seta sembravano convergere.

Meno di un anno dopo, il presidente americano Joe Biden, durante una visita in Israele, aveva organizzato il primo vertice virtuale con Narendra Modi, primo ministro indiano, e Mohammed Ben Zayed, presidente degli Emirati Arabi Uniti, insieme all’allora primo ministro israeliano Yair Lapid, aprendo le attività del gruppo conosciuto con l’acronimo inglese I2U2, (India, Israele, Uae, Usa). I quattro formano un asse portante del concetto geostrategico di Indo Mediterraneo. E di esso, Haifa è un hub nevralgico.

Washington, dopo l’ingresso dei cinesi nello scalo israeliano, esercitava pressioni sin dal gennaio 2022 per impedire che le società cinesi vincessero la gara per l’ampliamento della metropolitana di Tel Aviv (alla fine sono stati selezionati la società francese Alstom e i suoi partner israeliani), e hanno spinto per una soluzione a Haifa. Tanto che pochi mesi dopo che la società di Shanghai aveva ottenuto, e mentre veniva lanciato l’I2U2, Adani Group (l’enorme conglomerato guidato da Gautam Adani, vicinissimo a Modi) si era aggiudicato la gestione del restante 70% del porto.

Haifa è uno scalo piccolo per numeri (movimenta meno della metà dei container di Trieste), ma è ormai chiaro quanto sia interessante dal punto di vista strategico. Tanto che la Cina lo immagina punto di scalo per la Belt & Road Initiative e contemporaneamente è un nodo fondamentale di Imec. Nel progetto del corridoio per connettere India, Medio Oriente, Europa presentato al G20 indiano del settembre scorso, Haifa fa da sbocco verso l’Europa. Dunque Hezbollah mette questo nel mirino.

La milizia libanese dimostra di percepire perfettamente il valore strategico del target ed è consapevole che la minaccia contro il porto di Haifa è altamente simbolica, ma anche pratica. Fu da quel porto che dopo la Seconda Guerra Mondiale arrivarono i coloni che sognavano la terra promessa e lo Stato ebraico; è da quel porto adesso che passano i piani di connettività indo-mediterranea a valore globale.

Haifa è l’unico punto di intersezione tra Bri e Imec e anche su questa ambiguità — più per l’Occidente che per il Medio Oriente — si gioca la minaccia di Hezbollah. La propaganda di Nasrallah punta a far passare quella zona come potenzialmente insicura, oggetto di possibili attacchi, anche se Israele dovrebbe essere una garanzia di sicurezza — da mettere sopra i corridoi commerciali. A Pechino e a New Delhi il concetto è chiaro, anche perché Haifa ha valore limitato per Imec, perché la normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita che dovrebbe rivoluzionare la regione e nel piccolo permettere anche il passaggio delle merci provenienti dall’India fino allo stato ebraico, per ora non arriva a causa della guerra nella Striscia di Gaza.

Ossia, a causa di un attentato condotto da un gruppo armato terroristico, Hamas, il 7 ottobre si è creato un inciampo tattico a uno dei più importanti progetti di connettività mondiale. Il quale adesso viene messo di nuovo in potenziale crisi per la minaccia di un altro gruppo terroristico, Hezbollah. Tutto mentre un movimento indipendentista che ha prodotto la guerra civile in Yemen, gli Houthi, tiene sotto ricatto le rotte geoeconomiche dell’Indo Mediterraneo che tagliano il corridoio Suez-Bab El Mandeb.

Ed ecco materializzato come la sicurezza è la questione alla base di certi progetti e di come anche le grandi potenze siano finite vittime di gruppi armati non-statuali che possono destabilizzare regioni di mondo e scombussolare progetti strategici. Val la pena notate che Hamas, Hezbollah e gli Houthi sono armati dall’Iran e collegati ai Pasdaran, e questo porta la Repubblica islamica ad avere leve su certe dinamiche (sebbene i gruppi godano di una relativa, e ormai poco controllabile, indipendenza).

Di Emanuele Rossi. (Formiche)