(Roma, 09 aprile 2024). L’arresto di un membro attivo dell’Isis a Fiumicino ha riacceso la luce sulla minaccia jihadista che riguarda, da vicino, anche l’Italia ma anche, se non soprattutto, sull’efficacia dell’argine del controspionaggio nazionale in capo agli apparati di sicurezza. L’apparato di sicurezza costituito dalla Polizia, dai Carabinieri e dal Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (Dis), l’organo di coordinamento dell’intelligence, ha negli anni costruito un antemurale sistemico contro le infiltrazioni jihadiste.
L’Italia non è mai stata esclusa dall’attenzione degli operatori del terrorismo internazionale. Diversi casi di attentati sventati in fase di progettazione contro obiettivi civili, militari e religiosi hanno contraddistinto una storia d’indubbio successo che è giunta fino ai giorni nostri. Nel 2023, si legge nella relazione annuale dell’intelligence al Parlamento, i servizi hanno “continuato a monitorare l’eventuale arrivo/ transito sul territorio nazionale di soggetti “a rischio” – per background, vicende giudiziarie o comunque segnalati in ambito di cooperazione internazionale per profili di pericolosità – che potrebbero sfruttare anche i canali migratori clandestini terrestri e marittimi“.
L’arresto a Fiumicino di Ilkhomi Sayrakhmonzoda, 32enne tagiko in arrivo da Eindhoven, in Olanda, potrebbe rientrare in questa fenomenologia: soggetti radicali che utilizzano l’Italia come hub per incontri e confronti sull’operatività di futuri attentati. Nel 2023 “si è assistito al proliferare di segnalazioni relative a possibili progettualità ostili in Europa a opera di giovani internauti, perlopiù sostenitori dell’Isis facenti parte di network virtuali e intenzionati a compiere attentati nei Paesi di residenza”, notava il Dis.
Dopo gli attentati di Kerman in Iran e di Mosca compiuti tra gennaio e marzo la ripresa di quota di Isis-K, la branca centroasiatica dello Stato Islamico, ha contribuito ad alzare nuovamente il livello d’allerta. Nella giornata di martedì 9 aprile lo Stato Islamico ha minacciato Madrid, Londra e Parigi nei giorni in cui nelle tre città si svolgerà l’andata dei quarti di finale di Champions League. L’Italia ha risposto con una proiezione attiva e di anticipazione. Frutto dell’attenta capacità del sistema di sicurezza e delle altre autorità che fanno intelligence fuori dal perimetro securitario classico, dalla Guardia di Finanza all’Unità d’Informazione Finanziaria della Banca d’Italia, di traslare dai metodi d’applicazione classici (lotta a criminalità organizzata e mafie) a quelli dell’antiterrorismo le dottrine operative connesse al monitoraggio delle minacce alla pubblica sicurezza. Che si sommano ai fenomeni.
In quest’ottica la “diga” dell’antiterrorismo vede al centro un’intelligence sempre più attiva a documentarsi in profondità. E che nella giornata del 9 aprile ha visto annunciata da Palazzo Chigi una svolta che consolida l’apparato e la sua continuità. Il governo di Giorgia Meloni sostituirà Mario Parente, dirigente uscente del servizio interno, l’Aisi, con Bruno Valensise, funzionario d’alto profilo e vicedirettore di Gennaro Vecchione prima e Elisabetta Belloni poi al Dis. Ovvero all’organo di elaborazione delle informazioni e delle linee operative che aiutano i decisori politici a costruire le strategie riguardo i profili di tutela dell’ordine interno e della pubblica sicurezza che, tra le altre cose, all’Aisi pertengono. Il ruolo dell’intelligence si consolida dopo le precedenti esperienze di ottobre, con gli arresti a Milano di due sospetti compiuti dalle forze dell’ordine dopo un attento screening delle minacce. Prevenire la minaccia è meglio che curarla dopo: l’Italia fa scuola nell’isolare e individuare i fenomeni jihadisti da diverso tempo. Un fatto a cui concorre l’assenza di “terreno fertile” per gli estremisti. Che trovano nella sicurezza pubblica un argine spesso insormontabile.
Di Andrea Muratore. (Inside Over)