(Roma, 02 aprile 2024). Erdogan ha fallito la missione di riconquistare Istanbul, ma ha dovuto incassare una dura sconfitta in larga parte del Paese, una emorragia di voti costata all’Akp lo scettro di primo partito del paese
Il risultato delle elezioni amministrative in Turchia si è abbattuto come un uragano sul partito Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan. Quest’ultimo non solo ha fallito la missione di riconquistare la fondamentale metropoli di Istanbul, ma ha dovuto incassare una dura sconfitta in larga parte del Paese, una emorragia di voti costata all’Akp lo scettro di primo partito della Turchia dopo 22 anni. Oltre a perdere, con notevole distacco, nelle cinque più grandi città del Paese, l’Akp del presidente ha ceduto roccaforti come Adiyaman, Afyon, Sivas, tre delle 11 città perse in cui il potere del partito di Erdogan era stato solido negli ultimi anni. Una disfatta che corrisponde al trionfo del partito repubblicano Chp, che per la prima volta dal 1977 ha superato la soglia del 27%, divenendo primo partito con il 37.7% delle preferenze ottenute. A rendere ancora più sorprendenti questi risultati il fatto che appena 10 mesi fa il presidente turco ha vinto le elezioni presidenziali a scapito dell’allora segretario del Chp, Kemal Kilicdaroglu. Cosa ha determinato un così grave crollo in un così breve lasso di tempo? Dieci mesi fa Erdogan si presentava come l’alternativa più credibile di un Paese in crisi economica e reduce dal devastante terremoto del 6 febbraio 2023. Votare per la conferma del presidente sembrava una strada molto più sicura rispetto a un’opposizione apparsa litigiosa e frammentata.
Al contrario Chp e gli altri partiti hanno dimostrato di sapersi compattare a livello locale e proporre modelli di governance alternativi all’Akp, ormai in lento declino. Il partito di Erdogan ha provato, senza successo, a proporre candidati su base locale, cercando di spostare l’attenzione dai problemi del Paese e dalle difficoltà del governo. Erdogan ha fatto comizi in tutte le città, ma ha evitato toni aspri e lo scontro frontale. La campagna elettorale si è svolta in maniera molto tranquilla se paragonata a quanto avvenuto in passato. La gente si aspettava una svolta più rapida in economia. Al contrario l’inflazione ha solo rallentato, ma si mantiene su livelli che hanno effetti diretti sul costo della vita per i cittadini. Non ha sicuramente rafforzato la fiducia degli elettori il recente, ennesimo, cambio del direttore della Banca Centrale. Il fatto che l’affluenza, pur alta, sia stata del 78.5%, la più bassa dal 2004, segnala il fatto che a rimanere a casa sono stati proprio elettori delusi di Erdogan.
In base a studi pubblicati da istituti di statistica, una gran parte degli astenuti corrisponde ai circa 16 milioni di pensionati del Paese. La pensione minima infatti è ben al 41% al di sotto del salario minimo. Una parte importante di elettorato, che in passato aveva dato fiducia a Erdogan, ma da mesi chiede adeguamenti in linea con il costo della vita, che il governo non ha avuto il budget sufficiente a garantire. Una situazione che ha creato rabbia e distacco in larga parte del Paese, che ha visto il proprio potere d’acquisto frantumato dinanzi all’aumento di costi di immobili e affitti. Alla disfatta di Erdogan è corrisposta anche la crescita dei partiti di estrema destra e conservatori. Il partito islamico conservatore Nuovo Refah, al fianco di Erdogan 10 mesi fa, ha catturato i voti di religiosi delusi e accusato il governo turco di « aver svenduto Gaza a Israele », aver dato il via libera a movimenti Lgbtq e ovviamente della situazione economica. Religiosi delusi anche dal cambio di politica monetaria, convinti che la strada da seguire fosse quella del continuo taglio di interessi e non degli aumenti intrapresi dopo le elezioni del 2023. Risultato: Nuovo Refah raddoppia le preferenze e passa a 2.8 milioni di voti conquistando due province dove l’Akp aveva dominato negli ultimi due decenni, Akp è passata dai 20.5 milioni di voti delle amministrative del 2019 ai 16.3 di due giorni fa. L’emorragia di voti del partito di Erdogan si spiega con il successo di Nuovo Refah e con l’astensionismo, ma nelle grandi città in tanti hanno voltato le spalle a Erdogan per votare Chp, la cui crescita rimane un dato centrale. La domanda è se il presidente turco avrà le energie e la voglia di rimettersi al lavoro per recuperare il terreno perduto.
Ormai settantenne, un Erdogan apparso stanco ha lasciato intendere che non correrà per le prossime elezioni e l’ultima campagna elettorale ha mostrato la pochezza del partito Akp oltre il proprio leader.