(Roma, 11.10.2023). Una tregua, seppur « limitata », per far giungere aiuti umanitari alla striscia di Gaza.
Ci sta lavorando l’Egitto, mentre in serata il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha fatto sapere di aver avviato negoziati con Hamas per ottenere la liberazione degli ostaggi israeliani, forse con la sponda del Qatar. Allo stesso tempo, mentre la gran parte dei Paesi islamici mantiene un basso profilo, proprio Erdogan che nei giorni scorsi aveva lanciato appelli alla calma ha attaccato Israele per il suo uso « sproporzionato e infondato » della forza. « L’Egitto ha discusso i piani con gli Usa e altri Paesi per fornire aiuti umanitari attraverso il confine con la Striscia di Gaza con un cessate il fuoco limitato », hanno riferito due fonti di sicurezza egiziane. La notizia non ha trovato sinora reazioni o altre conferme, se non nelle parole del presidente egiziano riportate da Al Arabiya, secondo cui Abdel Fattah al Sisi « ha invitato l’Europa e la comunità internazionale a sostenere la tregua, i negoziati e la cessazione dell’escalation a Gaza ».
Tutto questo, mentre Doha starebbe tentando una mediazione sugli ostaggi, anche sulla spinta di pressioni dagli Usa e da altri Paesi. « Il Qatar ha un accesso ad Hamas che noi certamente non abbiamo e che gli israeliani non hanno », ha sottolineato il portavoce della Casa Bianca John Kirby. Appena ieri, però, il portavoce del ministero degli Esteri qatarino aveva affermato che « è troppo presto » per iniziare a organizzare colloqui su un potenziale scambio di prigionieri tra Israele e Hamas. Proprio dal Qatar, dove dirige l’ufficio della diaspora di Hamas, uno dei leader del movimento palestinese, Khaled Meshal, ha dal canto suo esortato i musulmani ad « andare nelle piazze del mondo arabo e islamico venerdì », dopo la preghiera settimanale. E i popoli e governi di Giordania, Siria, Libano ed Egitto, ha aggiunto, dovrebbero andare anche oltre le manifestazioni di sostegno ai palestinesi: « Questo è un momento di verità. I confini sono vicini a voi ».
Al momento però sembra che l’appello sia caduto nel vuoto, o che sia quantomeno sospeso. Dalla Giordania, re Abdallah II oggi in un discorso al Parlamento ha riaffermato che « non ci può essere sicurezza, pace e stabilità senza una giusta e completa pace che può passare solo attraverso la soluzione a due stati ». Dall’Egitto il ministro degli Esteri Sameh Shoukry ha ammonito che « la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza è pericolosa ed è necessario unire gli sforzi per porre fine alla guerra ». Dalla Siria, invece, ieri è stato registrato il lancio di alcuni razzi verso Israele e anche dal Libano i guerriglieri sciiti filoiraniani del movimento Hezbollah continuano a rivendicare uno sporadico lancio di missili e fare pressione sul confine nord.
Nella regione, i pesi massimi continuano a mantenere un basso profilo. In particolare l’Arabia Saudita, il cui leader di fatto Mohamed bin Salman ha detto che Riad lavora per evitare un « allargamento del conflitto » e rimane « al fianco del popolo palestinese affinché ottenga i suoi legittimi diritti ». Ma oltre non è andato. Nonostante ciò, il presidente turco Recep Tayyep Erdogan ha sostenuto che « la Turchia è dispiaciuta per l’atteggiamento provocatorio di alcuni attori nella regione, che invece di ristabilire la tranquillità gettano benzina sul fuoco ». Salvo poi affermare che « gli attacchi sproporzionati e infondati su Gaza potrebbero portare Israele verso una posizione sgradita agli occhi del pubblico a livello globale ». Appena ieri, si era inoltre pubblicamente domandato « che cosa ci fa in Israele una portaerei americana? Comincerà a compiere gravi massacri da quelle parti, colpendo e distruggendo Gaza? ». Lo stesso interrogativo che forse non a caso ha avanzato anche il presidente russo Vladimir Putin.