(Roma, 08.10.2023). Il « Partito di Dio », fondato nel 1982 sulla spinta della Rivoluzione iraniana, e la sua lunga ostilità con Israele. Ora sono a rischio gli accordi con l’Arabia Saudita, obiettivo diplomatico più vicino dopo gli Accordi di Abramo del 2020.
Dopo gli sconfinamenti di ieri, al confine Libano-Israele (mentre imperversava l’Operazione Tempesta di al-Aqsa), gli Hezbollah oggi ostentano sicurezza: dichiarano che la situazione lungo la Linea Blu, di demarcazione tra Libano e Israele, “è calma” e “non ci sono segnali di inasprimento militare”. In mattinata, hanno anche detto di aver ristabilito una postazione nella zona di confine, la stessa che era stata distrutta da colpi di artiglieria sparati da Israele in reazione al lancio di razzi dei jihadisti sciiti filoiraniani.
C’è l’Iran, infatti, e da sempre, nella storia di Hezbollah. È come una grande ombra che si staglia alle spalle del partito-milizia insediatosi nel sud del Libano e fondato nel 1982. Il loro leader, Hassan Nasrallah, solo pochi giorni fa, aveva detto in un discorso pubblico che il suo movimento era pronto a scatenare una vasta offensiva contro Israele. E già ieri si è subito sottolineato come la data scelta da Hamas per lanciare l’attacco rievoca il cinquantesimo anniversario della Guerra dello Yom Kippur (ottobre 1973), quando Israele fu colto di sorpresa, allora come ieri, da un’azione coordinata e fulminea (in quel caso, di Egitto e Siria). Ma si è anche notato che ieri ricorreva il 23esimo anniversario della prima operazione condotta da Hezbollah contro Israele, dopo il ritiro di quest’ultimo dal sud del Libano nel 2000.
Il Partito di Dio
A dispetto del nome, che letteralmente significa “Partito di Dio”, Hezbollah non ha solo una “componente” politico-partitica. Si tratta di un’organizzazione paramilitare, dotata di un vero braccio armato. Insediatasi nel sud del Libano, la sua milizia è finanziata da sempre da Teheran, col supporto determinante della Siria (da cui viene la maggior parte del sostegno logistico). È questo il cosiddetto “fronte sciita” che, attraverso una dialettica sicuramente diversa rispetto a quello sunnita, combatte Israele e il sionismo. Ma il timore è che oggi, con l’operazione di guerra lanciata da Hamas, sunniti e sciiti si possano unire in un unico grande fronte anti-israeliano, lo scenario maggiormente temuto, che ieri ha avuto inquietanti conferme nelle manifestazioni di giubilo viste a Teheran come a Beirut, a Bagdad come in Yemen.
Hezbollah è nato dopo la Rivoluzione iraniana del 1979 e condivide, appunto, con il regime di Teheran l’appartenenza al gruppo sciita. Dopo l’invasione israeliana del Libano nel 1982, infatti, il Partito di Dio si struttura con lo scopo di cacciare Israele e per stabilire in Libano uno Stato islamico, sull’esempio dell’Iran. Da allora, Hezbollah ha portato avanti una durissima e perdurante guerra contro Israele, a volte sotterranea, altre più esplicita, in nome dell’antisionismo e della cancellazione dello Stato d’Israele. Lo ha fatto partecipando attivamente alla sanguinosa Guerra civile libanese (1975-1990), macchiandosi di svariati attentati terroristici: rapimenti, assassinii e azioni con autobombe contro le Forze di pace occidentali, inviate sotto l’egida dell’Onu, nel tentativo di riportare l’ordine nella regione. Tra questi, il più grave risale al 1983 e colpì due caserme a Beirut, uccidendo 241 marines statunitensi e 56 parà francesi.
La ripresa delle ostilità nel 2000 e la Guerra del 2006
Negli anni, come si diceva, la Siria ha continuato a rifornire Hezbollah di armamenti, cosa che ha permesso al Partito di Dio di restare attivo sullo scenario mediorientale. Nel frattempo si andava affermando il suo ruolo come movimento politico: nel 2005 Hezbollah conquista 14 seggi in Parlamento, quasi tutti nel sud del Paese. Ma un anno dopo la situazione precipita, anche in seguito all’assassinio del premier libanese Rafiq Hariri, morto in un attentato (forte il sospetto che ci fosse la Siria di Assad dietro quell’omicidio). Il gruppo sciita, cercando di liberare tre prigionieri, lancia una pesante offensiva militare contro Israele. Da qui scoppia una guerra di 33 giorni, che registra oltre mille vittime libanesi e l’evacuazione di più di un milione di persone.
È il momento in cui il leader Nasrallah – che guida Hezbollah dal 1992 – vede consolidarsi intorno al suo nome un vasto consenso, dato che destabilizza anche il governo di Beirut. Nel 2008 il Paese finisce sull’orlo di una nuova guerra civile: il premier Fuad Siniora decide di smantellare le linee di telecomunicazione del “Partito di Dio”. La risposta è violenta. Il conflitto viene scongiurato solo grazie alla mediazione della Lega Araba. Viene formato un governo di unità nazionale, con potere di veto da parte di Hezbollah. Il gruppo, da allora, è sempre riuscito a entrare nei governi formati nel 2009 e nel 2014. Cinque anni fa, alle ultime elezioni legislative, conquista di nuovo 14 seggi in Parlamento.
L’ombra lunga dell’Iran per far fallire l’accordo tra Israele e Arabia Saudita
Hezbollah ha rafforzato in questi mesi la sua presenza lungo il fronte che va dalla costa mediterranea al confine giordano, sulle rive del fiume Yarmuk passando per l’Alta Galilea e le Alture del Golan. Solo un anno fa, gli Hezbollah siglavano, tramite gli Stati Uniti e il governo libanese, un accordo storico per la spartizione delle risorse energetiche con Israele, definendo – per la prima volta dopo decenni di belligeranza – la frontiera marittima tra i due Paesi a largo delle coste libanesi e israeliane. Un passo che era andato nella direzione di un processo di normalizzazione regionale tra diversi attori rivali nella regione: Iran e Arabia Saudita hanno ripreso i rapporti diplomatici a marzo, su pressione della Cina, accelerando il processo di negoziazione politica in Yemen, dove sauditi e iraniani si sono fatti la guerra per otto anni.
Ma ora, con la violenta ripresa delle ostilità tra Hamas e Israele, il sospetto che l’Iran approfitti della situazione per far saltare l’accordo tra la Stella di David e l’Arabia Saudita è concreto. Dopo gli Accordi di Abramo (siglati nel 2020 fra Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco, Sudan e Israele, complice lo sguardo tutelare degli Stati Uniti), la speranza di essere a un passo dalla svolta tanto attesa era concreta. Nei prossimi mesi, prima delle elezioni presidenziali negli Usa di novembre 2024, si sarebbe arrivati alla normalizzazione diplomatica tra Arabia Saudita e Israele. Ora tutto verrà rimesso in discussione.