La Siria sembra sempre più avviata verso la «libanizzazione»

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(Roma, Parigi, 29.09.2023). L’intreccio fra i due piani, quello degli attori esterni e quello delle molte componenti del complesso scacchiere siriano, moltiplica le linee di frammentazione nei decenni successivi al crollo dell’Unione sovietica, in altri contesti dominati dal pluralismo, divenute altrettante faglie geopolitiche

La Siria sembra avviarsi sempre più verso una “libanizzazione” del paese, con l’emergere progressivo di un discorso “identitario” tra le tribù arabe nel governatorato orientale di Deir ez Zor, situato a est del fiume Eufrate. Qui si sono affacciati di recente anche i turcomanni, sostenuti da sempre dalla Turchia. Inoltre, si sta verificando un crescente malcontento, inizialmente di natura economica e successivamente politica, tra il gruppo etno-religioso dei drusi, nel governatorato meridionale di Suwayda. Processi di frammentazione che, oltre a causare fratture in un tessuto sociale già sfinito da dodici anni di conflitto, fanno da sfondo ai movimenti di truppe delle milizie affiliate alla Repubblica islamica dell’Iran, che sostengono il presidente siriano, Bashar al Assad, dell’aviazione della Federazione russa, anch’essa al fianco del governo di Damasco, dell’artiglieria e dei droni da guerra della Turchia, in coordinamento con le milizie filo-turche del nord del Paese, e della Coalizione internazionale a guida statunitense, cui si affiancano le Forze democratiche siriane (Fds, a maggioranza curda). L’intreccio fra i due piani, quello degli attori esterni e quello delle molte componenti del complesso scacchiere siriano, moltiplica le linee di frammentazione, come è già avvenuto e ancora avviene, nei decenni successivi al crollo dell’Unione sovietica, in altri contesti dominati dal pluralismo, divenute altrettante faglie geopolitiche lungo le quali si dipanano conflitti a catena, dall’Asia centrale al Caucaso, al Vicino Oriente, fino ai Balcani.

Il quotidiano panarabo “Al Araby al Jadeed” ha riferito, nei giorni scorsi, che si sta assistendo a un progressivo “avvicinamento” tra gli Stati Uniti, che guidano la Coalizione internazionale contro lo Stato islamico in Siria e Iraq e la “comunità locale a est dell’Eufrate”, ovvero tra le tribù arabe che rappresentano la maggioranza della popolazione tra i governatorati di Hasakah, Deir ez Zor, Raqqa e Aleppo. Gli Usa, dunque, starebbero prendendo contatti con le tribù arabe, con l’obiettivo di prendere in considerazione l’ipotesi di favorire la creazione di amministrazioni civili alternative a quella curda, per far fronte alla crescente instabilità in quelle regioni. Tale instabilità, infatti, agevolerebbe la penetrazione del governo siriano. Anche se ufficialmente gli Usa sostengono le Forze democratiche siriane, accusando della crisi siriana il governo di Damasco e l’Iran, ultimamente stanno emergendo critiche da parte di Washington nei confronti dell’Amministrazione autonoma del nord e dell’est (nota anche come Rojava, di cui le Fds costituiscono le Forze armate), che non avrebbe integrato a sufficienza le tribù arabe all’interno delle sue istituzioni civili e militari. Rimostranze emerse in occasione dei recenti scontri fra le tribù arabe, i cui capi costituiscono i Consigli militari delle diverse città, e le Fds nel governatorato di Deir ez Zor.

Le tensioni fra le tribù arabe e le Forze democratiche siriane erano esplose dopo l’arresto, avvenuto lo scorso 27 luglio, del capo del consiglio militare di Deir ez Zor, Ahmed al Khabil, noto anche come Abu Khawla, e si erano formalmente appianate il 7 settembre, quando il comandante delle Fds, Mazloum Abdi, aveva annunciato che l’Amministrazione autonoma si sarebbe impegnata a soddisfare le richieste delle tribù. Tuttavia, scontri sporadici continuano ad avvenire, malgrado la campagna lanciata dalle Fds per il disarmo delle milizie tribali arabe. La tribù più forte e numerosa è quella degli Al Akidat (talvolta traslitterata Al Uqaydat), in particolare il clan Al Bakir (indicato anche come Al Bukayr), cui apparteneva Abu Khawla, che alla fine di agosto aveva tenuto una riunione nel villaggio di Al Bayda, a nord di Deir ez Zor, con un rappresentante del Consiglio civile della città e con una delegazione della Coalizione internazionale a guida statunitense, per discutere degli scontri in corso tra le milizie tribali e le Fds. Finito l’incontro, i capi del clan Al Bakir aveva pubblicato una dichiarazione nella quale si esortava la popolazione a portare avanti un processo di trasformazione politica nel Paese, per creare “una Siria libera e unita”. Le tensioni, tuttavia, non si sono ancora dissipate, anche se ufficialmente, alcuni capi tribali e le Fds si scambiano esortazioni all’unità di fronte ai tentativi di seminare il caos da parte del governo di Damasco, dell’Iran e della Turchia.

Sul fronte meridionale, intanto, da 40 giorni continuano le proteste a Suwayda, capoluogo dell’omonimo governatorato a maggioranza drusa del sud della Siria. Anche in tale contesto, dove, a differenza di quanto accade nelle regioni controllate dall’Amministrazione autonoma curdo-siriana, gli Usa non hanno alleati sul campo, ultimamente Washington ha preso contatti con i capi religiosi drusi, che sostengono le proteste. Le manifestazioni, del resto, iniziate con rivendicazioni di tipo economico, hanno assunto progressivamente i connotati di proteste per la deposizione del presidente Assad. La scorsa settimana, tre deputati della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, i repubblicani Joe Wilson e French Hill e il democratico Brendan Boyle, hanno avuto, questa settimana, contatti telefonici con il capo druso Hikmat al Hijri, che dallo scorso 13 settembre ha dichiarato il proprio sostegno ai manifestanti che da oltre un mese protestano a Suwayda, capoluogo dell’omonimo governatorato della Siria meridionale, per il cambiamento politico.

Ultimamente, inoltre, l’ambasciata degli Stati Uniti in Siria ha espresso il proprio sostegno ai manifestanti drusi, in un messaggio diffuso sulla piattaforma X (in precedenza Twitter). Secondo quanto si legge nel messaggio, il sottosegretario di Stato, Ethan Goldrich “ha discusso con il capo religioso druso Hikmat al Hijri, ribadendo il sostegno alla libertà di espressione dei siriani, incluse le proteste pacifiche a Suwayda. Rinnoviamo l’appello per una siria giusta e unificata e per una soluzione politica conforme alla risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”. Per ora le proteste continuano a svolgersi pacificamente, ma sussistono rischi di un inasprimento delle tensioni tra la comunità drusa e le autorità di Damasco. Una prospettiva rischiosa, soprattutto in un governatorato come quello di Suwayda, adiacente al confine con la regione delle Alture del Golan, di cui il governo siriano continua a reclamare la restituzione da Israele.

(Nova News)