(Roma, 12.07.2023). Dal vertice Nato di Vilnius (Lituania) arriva la notizia che l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica sarà presentata ufficialmente al parlamento turco che dovrà approvarla “il prima possibile”, come ha riferito il segretario generale Jens Stoltenberg. Dopo mesi di traccheggi, arriva infine il via libera del presidente turco Recep Tayyp Erdogan che potrebbe avere ottenuto particolari condizioni in cambio: Ankara potrebbe aver avuto rassicurazioni sulla possibile acquisizione di nuovi armamenti, come i caccia F-16 americani e migliori relazioni commerciali con l’Unione Europea nella quale la Turchia spera di entrare a breve. La Svezia, di rimando, ha modificato la propria costituzione, cambiando le proprie leggi e ampliando in modo significativo la cooperazione antiterrorismo contro il Pkk in uno sforzo di lungo termine, e quindi riprendendo le esportazioni di armi verso la Turchia.
Si attende quindi la votazione turca per comporre un puzzle molto particolare che riguarda da vicino anche l‘ingresso della Finlandia nella Nato, avvenuto il 4 aprile 2023. Per capire di cosa stiamo parlando, basta guardare una carta geografica del Mar Baltico: con l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantico, quello specchio d’acqua è circondato per la sua quasi totalità da Paesi Nato, fatta esclusione per l’exclave russa di Kaliningrad e una porzione di territorio della Federazione stretta tra Finlandia ed Estonia in cui c’è la città di San Pietroburgo.
Il Baltico, quindi, diventa un “mare Nato” con la Russia che si ritrova ad avere i suoi spazi marittimi e aerei contornati (e perfino inglobati per quanto riguarda Kaliningrad) da Paesi attualmente considerati ostili. Dal punto di vista marittimo, si viene a creare una situazione del tutto simile a quella che si ha per il passaggio dal Mar Nero al Mar Mediterraneo: in quel caso, infatti, la Turchia controlla gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli e adesso i passaggi obbligati attraverso il Kattegat e lo Skagerrak saranno interamente compresi tra Paesi dell’Alleanza Atlantica (il Grande Belt è interno alla Danimarca).
Sebbene prima di oggi la Svezia abbia dimostrato di essere diventata sempre meno neutrale per una serie di considerazioni politiche legate alla percezione di maggiore aggressività russa (già a partire dal 2008 grazie al breve conflitto georgiano), il Paese si poteva comunque considerare non ostile da parte di Mosca, e quindi il Cremlino avrebbe avuto una sorta di “cuscinetto” che avrebbe potuto tenere lontana la Nato dai suoi porti di Kaliningrad e San Pietroburgo.
Un cuscinetto che è andato via via assottigliandosi e non solo per l’ingresso nell’Alleanza di Helsinki: la Svezia, ad esempio, nel 2016 ha stipulato l’Host Nation Support Agreement (Hnsa) per la libertà di passaggio delle forze dell’Alleanza e può partecipare alla meccanismo di reazione rapida della Nato (Nrf – Nato Response Force). Ma comunque si trattava di provvedimenti in cui la discrezionalità svedese era altamente discriminante, mentre ora, facendo parte della Nato, Stoccolma si è inserita stabilmente in un’alleanza militare che vincola gli aderenti al mutuo supporto (se pur non esclusivamente di tipo militare) in caso di attacco esterno ed il Paese potrebbe vedere la presenza a rotazione di unità militari (terrestri, aeree, navali) statunitensi e dell’Alleanza Atlantica come avviene altrove.
Il nodo della presenza Usa nel Baltico
In effetti, anche senza l’adesione formale di Stoccolma, certe dinamiche si erano già palesate e particolarmente significative non sono state tanto le esercitazioni congiunte tra Svezia e Paesi Nato, bensì la richiesta del governo svedese, risalente al maggio 2022, di avere più presenza navale statunitense nel Baltico.
Questo sbilanciamento della Svezia verso l’Alleanza è da ascriversi a considerazioni che affondano nella storia passata e anche in altre di carattere geopolitico: nel suo ultimo documento di indirizzo di politica estera, Stoccolma ha affermato che si trova “in una grave situazione di sicurezza” per via della “crescente retorica conflittuale della Russia e delle sue attività militari, sia visibili che nascoste” giudicate come “inaccettabili”. Inoltre si è aggiunto che “l’escalation della presenza militare russa al confine ucraino e le richieste russe di garanzie di sicurezza minacciano il fulcro della sicurezza europea”. La Svezia considera l’attuale regime di sicurezza europeo “non negoziabile”, ma soprattutto afferma che “difendere la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina è essenziale per la sicurezza dell’Europa nel suo insieme”. Praticamente una dichiarazione scritta di adesione alla politica recente della Nato.
Tornando alla situazione del Baltico, lo spazio aereo e marittimo della Svezia sarà una nuova frontiera ostile per la Russia che andrà a minacciare in modo diretto l’exclave di Kaliningrad, dove ha sede la Flotta del Baltico. La base di Baltiysk si viene così a trovare completamente circondata da Paesi ostili, e lo stesso vale per quelle di Kronstadt e San Pietroburgo ora che la Finlandia è entrata nella Nato, con tutte le conseguenze in termini di percezione della minaccia del caso. L’ultima frontiera libera rappresentata per Kaliningrad dal mare aperto è ormai caduta e ora Mosca potrebbe facilmente trovarsi con una spada di Damocle in più rappresentata dalla strategica isola di Gotland, posta in mezzo al Baltico davanti all’exclave, che probabilmente verrà militarizzata anche con la presenza a rotazione di assetti dell’Alleanza in grado di installare una bolla di interdizione aeronavale (in gergo militare chiamata bolla Anti Access / Area Denial – A2/Ad).
Inoltre la Svezia, a differenza della Finlandia, rappresenta un territorio ideale per lo stanziamento di truppe da assalto anfibio, di forze corazzate, di reparti aerei e soprattutto della rete logistica necessaria alle unità schierate in posizione avanzata. Gli Stati Uniti potrebbero anche sfruttare la loro maggiore presenza più o meno stabile nel Baltico e nell’intera Penisola Scandinava per aumentare la pressione sulla Russia in una regione geografica doppia rappresentata dall’Artico e dallo stesso Mar Baltico.
Mosca sarà costretta a prendere provvedimenti, che a ben vedere sono già in corso d’opera: nuove unità militari di rinforzo sono giunte nella vitale penisola di Kola – sede di importanti basi navali – e prevediamo che la stessa Kaliningrad, che è considerabile come una grande base militare, vedrà l’insediamento di più reparti terrestri e aerei, che dovranno essere schierati stornandoli da altre basi che in questo momento sono attive nel conflitto in Ucraina oppure da siti nell’estremo oriente russo se non si vuole vedere ulteriormente ridotta la capacità di deterrenza convenzionale.
Dal punto di vista delle armi nucleari tattiche, riteniamo che sia improbabile (ma non impossibile) vederne il dispiegamento nella Penisola Scandinava da parte della Nato, nonostante la Russia sia in procinto di attivare le sue unità dotate di questi ordigni in Bielorussia: innanzitutto occorre tempo per stabilire un corretto ambiente di sicurezza dei siti, secondariamente occorrerebbe intaccare gli arsenali delle altre basi europee in cui sono immagazzinate le nucleari tattiche a caduta libera stante la politica statunitense di non proliferazione nucleare, infine una decisione in tal senso provocherebbe da parte russa lo spostamento a ovest degli Urali dei suoi vettori da crociera con carica atomica (i 9M729 o SSC-8) che sino a questo momento appaiono essere schierati nella Russia più interna.
Di Paolo Mauri. (Il Giornale/Inside Over)