«La svolta di Istanbul» tra Erdogan e Zelensky

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(Roma, 10.07.2023). All’indomani della sua rielezione trionfale, Recep Tayyip Erdogan sembrava definitivamente incoronato vincitore anche nelle dinamiche internazionali che lo hanno promosso a mediatore con la Russia. Del resto, a poche ore dal risultato del ballottaggio del maggio scorso, le principali agenzie di stampa turche annunciavano un’imminente visita di Stato sia di Volodomyr Zelensky che di Vladimir Putin in Turchia. Una sorta di negoziato a tappe, senza alcun incontro bilaterale tra i due belligeranti, ma l’inizio di una nuova mediazione a firma del sultano di Ankara.

Pochi giorni fa il presidente ucraino è finalmente atterrato a Istanbul, ben conscio dei tre dossier da sviscerare con l’omologo turco che lo ha salutato come un “caro amico”. Prima fra tutti, la richiesta di armamenti, in particolare aerei da guerra e contraerea: non di certo una novità, poichè fin dal 2014 Kiev utilizza i droni turchi (i TB2 Bayraktar) nel teatro del Donbass. A seguire, lo scottante tema dell’ingresso nella Nato: forse la più calda delle disquisizioni, al cospetto della pecora nera dell’Alleanza Atlantica, che continua a fare il bello e il cattivo tempo in virtù della sua funzione di cuscinetto. E poi l’annosa questione del corridoio del grano: l’accordo, in scadenza il prossimo 17 luglio, è quello che ha permesso a oltre 30 milioni di tonnellate di cereali di uscire dai porti ucraini nell’ultimo anno. Nelle ore trascorse in Turchia, Zelensky pare aver trovato davanti a sé un Erdogan differente, decisamente spostato nelle parole-ma anche nei fatti- verso le esigenze di Kiev.

I comandanti dell’Azovstal liberati

La prima sorpresa di Erdogan in serbo per Zelensky è stata la liberazione dei comandanti ucraini catturati dalla Russia dopo la strenua difesa di Mariupol dall’acciaieria Azovstal: questi ultimi, infatti, hanno potuto fare rientro in Ucraina assieme al presidente Zelensky. Denys Prokopenko, Svyatoslav Palamar, Serhiy Volynsky, Oleh Khomenko e Denys Shleha erano detenuti in Turchia in base ad un accordo raggiunto nel settembre scorso e che prevedeva la loro liberazione non prima della fine del conflitto. Erdogan, invece, violando il proprio accordo con la Russia ha scelto di “premiare” Zelensky con questa mossa a sorpresa. Rientrati a casa e accolti come eroi, i più alti in grado del battaglione Azov, dalle strade di Lviv, ove hanno celebrato il loro rientro in patria, hanno giurato di tornare sul campo molto presto.

Se la mossa fa registrare un punto a favore di Kiev e un grande strumento di propaganda per Zelensky, è difficile comprendere perché Erdogan abbia violato un accordo così importante e simbolico stretto con l’amico Putin. Una mossa certamente calcolata, ma abbastanza forte da scatenare le ire di Mosca: il Cremlino, dalla voce dell’irreprensibile Dimitry Peskov fa sapere che non solo la mossa viola gli accordi, ma sarebbe frutto di una strategia Nato volta ad esercitare pressioni sulla Turchia per mostrare solidarietà verso l’Alleanza in previsione del vertice di Vilnius: una scelta che la pletora di analisi pro-Cremlino ha bollato come “Un insulto alla Russia”.

La preghiera di Zelensky con Bartolomeo I

Un dettaglio passato in sordina ma che ha contribuito a creare un’iconografia della visita di Stato di Zelensky molto particolare. Soprattutto per il posto che il Patriarca ecumenico Bartolomeo I occupa all’interno della Chiesa ortodossa. Bartolomeo è, infatti, l’uomo che dall’inizio del conflitto ha condannato le azioni del Cremlino e del “fratello Kirill”, reo di stare benedicendo l’”operazione speciale” dal suo inizio. Va ricordato, inoltre, il ruolo e le scelte compiute da Bartolomeo negli ultimi cinque anni: nel 2018 ha avuto infatti inizio lo scisma tra la Chiesa ortodossa russa e il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, a causa del fatto che la prima ha interrotto unilateralmente la piena comunione con il secondo, in risposta a una decisione del Santo Sinodo del Patriarcato di Costantinopoli, che confermava la propria intenzione di concedere l’autocefalia alla Chiesa ortodossa in Ucraina.

Ma l’incontro tra Zelensky e Bartolomeo I, e la relativa preghiera per la pace in quel del Fanar di Istanbul, non è importante solo da un punto di vista ecumenico ma anche nell’ottica dei rapporti che questa Chiesa ha con il governo turco. Bartolomeo, infatti, si muove e opera all’interno di una minuscola comunità ortodossa in un lago turco e islamico con il quale ha instaurato delle ottime relazioni che gli hanno concesso diversi gradi di libertà.

Per Erdogan “Kiev merita di entrare nella Nato”, Putin sta a guardare

Ma il vero colpo di scena sono state le dichiarazioni del presidente turco a proposito dell’ingresso di Kiev nell’Alleanza. Erdogan, alle prese con il tira e molla sulla Svezia e con il suo consueto cerchiobottismo Nato-Russia, ha spiazzato tutti gli osservatori dando il suo-più che simbolico-simbolico placet all’Ucraina nella Nato, intervenendo a gamba tesa sulla questione che -nella vulgata russa dell’operazione speciale-rappresenterebbe il casus belli. Non solo, il presidente turco ha ribadito l’impegno alla difesa dell’integrità territoriale dell’Ucraina, il non riconoscimento dell’annessione russa della Crimea ma soprattutto la promessa della compartecipazione turca alla ricostruzione del Paese a guerra finita. Promesse importanti, pubbliche, che stonano con il consueto doppiopesismo di Erdogan.

Nel frattempo, Putin sta a guardare: Mosca dice di aver seguito con interesse i fatti di Istanbul e lascia trapelare l’intenzione di una prossima visita di Stato in Turchia; non vi è una data, al momento, ma solo indicazioni generiche sul “mese prossimo”. Questa svolta nei confronti di Kiev, avviene in un crocevia temporale molto particolare, ovvero il vertice di Vilnius in arrivo ma anche i postumi del fallito golpe per mano di Evgeny Prigozhin: evento per il quale Erdogan aveva espresso la sua solidarietà all’omologo russo che, a sua volta, si era schierato con Erdogan nel 2016, in occasione del tentato colpo di Stato, sul quale non è mai stata fatta luce. L’appoggio di Erdogan all’ingresso dell’Ucraina nella Nato, inoltre, giunge anche in un momento in cui gli Stati Uniti vivono un’ambivalenza complessa nei confronti di Kiev: sebbene in questi giorni sia arrivato il sofferto sì alla fornitura di bombe a grappolo, il presidente Joe Biden continua a temporeggiare su una membership nata in “tempo di guerra”, sostenendo in una intervista alla Cnn che non vi sia ancora unanimità nella Nato su questo punto. Alla luce di questo, dunque, quella di Erdogan è un’apertura o una provocazione da figliol prodigo dell’Alleanza ?

Di Francesca Salvatore. (Il Giornale/Inside Over)