(Roma, 09.06.2023). Il confronto tra Washington e Mosca passa dalla Libia. Il dossier riguardante il Paese nordafricano, frammentato e senza più un vero Stato dal 2011, dalla caduta cioè di Muammar Gheddafi, oggi appare sempre più importante sia per gli Stati Uniti che per la Russia. Il perché è presto detto: la posizione geografica rende la Libia un Paese strategico, inoltre il petrolio e il gas sotto le dune del Sahara fanno gola a entrambe le potenze.
Per gli Usa c’è inoltre una preoccupazione che va oltre i confini libici e abbraccia l’intera regione mediorientale, lì dove l’attivismo della Cina ha portato a importanti scossoni diplomatici. La Russia, dal canto suo, in Libia ha la possibilità di controllare pozzi e giacimenti di petrolio. Per farlo, può disporre dei miliziani della Wagner, presenti da tempo in territorio libico. Oggi è proprio la presenza degli uomini di Prigozhin probabilmente il vero nodo della discordia.
La presenza della Wagner al fianco di Haftar
Sembrano lontani i tempi in cui la portaerei russa Kuznecov si aggirava nel Mediterraneo e faceva salire a bordo il generale Khalifa Haftar. Correva l’anno 2016 e nessuno a Washington sembrava dare enorme peso alla vicenda. In una fase caratterizzata dalla guerra in Ucraina, un simile scenario probabilmente verrebbe visto come fonte di nuove tensioni. Haftar, l’uomo forte della Cirenaica che in quel momento si apprestava a prendere Bengasi con il proprio esercito dell’Lna (Libyan National Army), era stato ospitato proprio per sancire la nascita dell’intesa tra lui e il Cremlino. La Russia, nel frattempo già impegnata in Siria, si rendeva così sempre più protagonista nel Mediterraneo.
Alla Casa Bianca questo importava fino a un certo punto: l’amministrazione Obama prima e quella guidata da Donald Trump poi, in quegli anni hanno orientato i propri sforzi altrove, tralasciando il contesto mediterraneo. Come segno dell’alleanza tra la Russia e Haftar, il Cremlino ha inviato nei territori controllati dal generale gli uomini della Wagner. Stime di poco precedenti l’inizio della guerra in Ucraina, hanno parlato di almeno 4mila contractor russi stanziati in alcune basi dell’est della Libia, lì dove Haftar è ancora oggi l’uomo più potente. Adesso i mercenari presenti dovrebbero essere di meno, forse la metà. Ma sempre comunque in un numero significativo.
Grazie a loro Haftar può controllare meglio il territorio, ma soprattutto può organizzare le sortite militari contro i rivali. Come quella, mal riuscita, lanciata nell’aprile del 2019 per la presa di Tripoli. Il sospetto, come rilanciato negli anni da diversi analisti, è che la Wagner possa aver aiutato Haftar anche in altre avventure politiche e militari. Ci sarebbero gli uomini di Prigozhin infatti dietro la chiusura dei pozzi di petrolio avvenuta nel 2020, ordinata dal generale come ripicca ai metodi di ripartizione dei proventi del greggio. La Russia quindi, tramite la Wagner, può arrivare anche a mettere gli scarponi all’interno dei giacimenti dell’est del Paese.
L’attivismo di Washington e Mosca
La guerra a Kiev ha imposto un rapido mutamento della situazione. La Casa Bianca vuole adesso tornare protagonista in Libia. Washington, come sottolineato da Bloomberg, teme un sempre maggiore attivismo di Mosca nel Paese nordafricano. E teme soprattutto la presenza della Wagner nelle basi a due passi dai pozzi di petrolio della Cirenaica. Per la diplomazia statunitense l’ultimo campanello d’allarme è arrivato dall’annuncio di Mosca circa la volontà di riaprire la propria ambasciata a Tripoli, chiusa dall’era della guerra civile che ha portato alla morte di Gheddafi.
Riaprire i cancelli di una sede diplomatica in una capitale straniera, potrebbe sembrare un gesto tutto sommato normale. Ma la situazione in Libia, come si sa, non è affatto normale da più di un decennio. Piazzare l’ambasciata a Tripoli vuol dire per i russi aprire un canale di contatti anche con le autorità “ufficiali”, quelle riconosciute dalla comunità internazionale. Il Cremlino quindi potrebbe abbandonare la linea dell’esclusivo sostegno ad Haftar, stanziato a Bengasi, sposando invece il progetto di un’interlocuzione a 360 gradi con tutti gli attori libici.
Per gli Usa appare allora quasi indispensabile tornare ad avere un posto in prima fila nel dossier libico. A gennaio nel Paese nordafricano è volato il capo della Cia, William Burns. Quest’ultimo è stato sia a Tripoli che a Bengasi, lì dove ha tenuto colloqui diretti con Haftar. Segno della volontà della Casa Bianca di recuperare il tempo perduto. E di influenzare maggiormente il dossier libico.
Tra stabilizzazione e status quo
La principale fonte di preoccupazione per Washington è data dalla presenza della Wagner. Finché ci sarà anche un solo contractors inviato dal Cremlino, il braccio di ferro con Mosca in Libia rischia di essere giocato da una posizione di netto svantaggio. Convincere Haftar a mandare via i mercenari di Prigozhin però non è semplice. Sia perché al generale i combattenti della compagnia privata russa possono sempre tornare utili. E sia perché sarebbe molto difficile per lo stesso Haftar far rispettare un eventuale ordine di evacuazione dall’est della Libia.
L’unica carta in mano agli Usa è quindi quella di una possibile ritrovata stabilità della Libia. “Lo status quo è intrinsecamente instabile – ha dichiarato su Bloomberg l’inviato speciale della Casa Bianca in Libia, Richard Norland – Il nostro messaggio è che un nuovo governo libico otterrà la legittimità solo attraverso le elezioni”. Andare al voto e ridare alla Libia un governo unitario appare adesso il vero obiettivo degli Stati Uniti. Del resto, se la presenza della Wagner è giustificata dall’instabilità nel Paese, venendo meno l’attuale caos nessuno avrebbe bisogno, né ad est e né ad ovest, di milizie straniere al proprio servizio.
Usa e Russia sembrano così aver invertito i ruoli. Negli ultimi anni alla Casa Bianca non è stata data ampia priorità al raggiungimento della stabilità in Libia, visto il poco interesse sul dossier. Adesso invece Washington ha tutto l’interesse a mettere un freno al caos libico mentre, al contrario, alla Russia può star bene l’attuale status quo.
Di Mauro Indelicato. (Inside Over)