Il Comitato misto per la preparazione delle leggi elettorali in Libia (6+6), formato da parlamentari della Camera dei rappresentanti e da membri l’Alto consiglio di Stato, ha annunciato di aver raggiunto il “pieno accordo” sui punti relativi all’elezione del capo dello Stato e dei membri del Parlamento. Lo ha reso noto un comunicato dello stesso Comitato al termine della seconda giornata di negoziati nella città di Bouznika, in Marocco. L’intesa prevede che le elezioni parlamentari e presidenziali si svolgano in simultanea e che la prossima autorità legislativa sia composta da due camere, l’Assemblea nazionale e il Senato. La nota, tuttavia, osserva che c’è ancora bisogno di tempo per “formulare e completare il quadro legislativo”. Il Comitato 6+6 ha inoltre chiesto la formazione di “un governo unificato” che prepari il Paese alle elezioni prima che le nuove leggi elettorali entrino in vigore, ammesso e non concesso che queste ultime vengano approvate dalla maggioranza dei membri della Camera dei rappresentanti (il Parlamento con sede nell’est) e dell’Alto Consiglio di Stato (una sorta di “camera alta” basata a Tripoli). L’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Abdoulaye Bathily, ha più volte dichiarato pubblicamente che tutti devono potersi candidare in Libia, inclusi quindi personaggi divisivi come Saif al Islam Gheddafi, il generale Khalifa Haftar e il premier di Tripoli, Abdulhamid Dabaiba. L’ulteriore passaggio alla Camera dei rappresentanti guidata da Aguila Saleh, politico dell’est fermamente contrario alla discesa in campo del misuratino Dabaiba nelle elezioni presidenziali, potrebbe impedire il successo dell’iniziativa e rimandare « sine die » le elezioni quantomeno presidenziali.
Dal febbraio 2022 la Libia è divisa da due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Dabaiba, riconosciuto dalla Comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, sostenuto inizialmente da Egitto e Russia ma ormai sempre più abbandonato a sé stesso. A detenere il potere nella Libia orientale è infatti il generale a capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), Haftar. Per uscire dallo stallo politico, l’inviato dell’Onu Bathily ha lanciato, il 27 febbraio, un piano per l’istituzione di un nuovo “Comitato di alto livello” che dovrà per redigere gli emendamenti costituzionali e le leggi elettorali necessarie per tenere elezioni “libere, inclusive e trasparenti” entro il 2023. Tuttavia, la nuova iniziativa presentata dall’inviato delle Nazioni Unite, accolta con freddezza a Tripoli e a Bengasi, non sembra prendere slancio. Nel Paese vige al momento una stabilità parziale, basata su un implicito accordo tra due potenti famiglie: i Dabaiba e gli Haftar al potere rispettivamente a Tripoli (ovest) e a Bengasi.