(Roma, 22.04.2023). Vertice a Palazzo Chigi con l’Unità di crisi: gli aeroporti sudanesi sono però ancora chiusi
Crisi Sudan, riunione fra la premier Giorgia Meloni con il ministro Antonio Tajani, il sottosegretario Alfredo Mantovano, il Capo di Stato Maggiore della Difesa Giuseppe Cavo Dragone, il generale Francesco Paolo Figliuolo, responsabile del Comando operativo interforze, i responsabili dell’Unità di crisi della Farnesina e dei Servizi di Sicurezza. È stata esaminata la situazione sul terreno, in contatto diretto con le unità presenti in Sudan, e predisposto un piano di emergenza per la tutela dei nostri connazionali, alcuni dei quali sono già al sicuro nell’ambasciata a Karthoum, riferisce Tajani.
La situazione
I piani di evacuazione di stranieri da Khartoum in preda allo scontro fra esercito e paramilitari sono pronti a scattare ma la situazione nella capitale è ancora troppo pericolosa e circa 200 italiani sono ancora bloccati in Sudan. Il ministero della Difesa italiano, come del resto stanno facendo altri Paesi occidentali, sta organizzando l’evacuazione dei connazionali con velivoli militari che sono già stati dislocati a Gibuti, il piccolo Stato-base militare incastonato fra Eritrea, Etiopia e Somalia sul golfo di Aden.
Si lavora ad una replica dell’operazione Afghanistan, dedicata però stavolta solo ai cittadini italiani. Intanto è già finito l’incubo per 18-19 turisti sorpresi dalla guerra mentre erano in crociera nelle acque di Port Sudan: sono potuti sbarcare a Hurghada in Egitto, come ha annunciato il ministro degli Esteri Antonio Tajani. In mattinata l’esercito sudanese – guidato generale Abdel Fattah al-Burhan che da otto giorni si sta scontrando con i paramilitari Rfs di Mohamed Hamdan Dagalo per il controllo del Paese instabile dal 2019 – aveva previsto già «per le prossime ore» l’evacuazione da Khartoum di diplomatici e cittadini di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Cina su aerei da trasporto militare appartenenti alle rispettive forze armate.
Fin dalla notte, le Rfs si erano dichiarate pronte ad «aprire parzialmente tutti gli aeroporti sudanesi» per consentire le evacuazioni ma in tv al-Burhan le ha smentite sostenendo di avere lui «il controllo di tutti gli aeroporti, tranne quello di Khartoum», attorno a cui si combatte, e di Nyala, la capitale del Darfur meridionale. Non sorprende quindi che fonti diplomatiche abbiano definito «ancora in fase di negoziazione» l’apertura di corridoi di fuga per stranieri, anche se si sono visti convogli per personale Onu e cittadini di diverse nazioni dirigersi verso l’aeroporto di Khartoum.
«Nessuno degli aeroporti funziona. Sono ancora sotto tiro», ha avvertito il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr che ha centinaia di cittadini intrappolati in Sudan. Anche se l’ambasciata Usa a Khartoum ha messo in guardia gli americani che qualsiasi spostamento via terra è troppo pericoloso, gli 835 km da Khartoum a Port Sudan sono stati percorsi dai diplomatici sauditi per mettersi in salvo e lo stesso tragitto di 12 ore dovrebbe essere tentato dalla missione giordana.
«La prima nave di evacuazione dal Sudan» ha attraccato a Gedda trasportando 50 cittadini sauditi, ha annunciato la tv di Stato del Regno, segnalando in arrivo altre quattro imbarcazioni con 108 persone provenienti da 11 Paesi. Del resto la tregua di tre giorni concordata venerdì su pressione Usa per la fine del Ramadan ha retto solo durante la notte e in mattinata sono ripresi gli scontri: i combattimenti vengono segnalati in 24 punti di Khartoum, di cui otto in un settore della capitale sudanese dove si trova anche l’ambasciata d’Italia, peraltro sempre operativa sotto la guida dell’ambasciatore Michele Tommasi. A Khartoum ci sono stati bombardamenti indiscriminati di artiglieria e il caos è stato accresciuto da un attacco di paramilitari ad alcune carceri con la liberazione di detenuti e l’uccisione di guardie.