L’effetto domino della crisi in Sudan: cosa si rischia dalla Libia all’Egitto

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(Roma, 20.04.2023). Il Sudan è un Paese posizionato in una posizione molto delicata. Si affaccia sul Mar Rosso da un lato, mentre a nord confina con l’Egitto. Un Paese quest’ultimo che ha sempre esercitato un’importante influenza. In generale, il Sudan viene visto come una sorta di cerniera tra mondo arabo e Africa subsahariana. E del resto gran parte dei suoi conflitti interni sono stati negli anni causati anche da una forte lacerazione tra le varie componenti culturali ed etniche. Basti pensare alla guerra del Darfur, regione occidentale del Paese, dove arabofoni e popolazioni africane hanno combattuto uno dei più cruenti conflitti del XXI secolo.

Le caratteristiche del Sudan e la sua storia, suggeriscono quindi un forte interessamento internazionale agli ultimi scontri che stanno interessando Khartoum e il resto del Paese. Da molte cancellerie si sta osservando quanto sta accadendo. E non sono pochi gli analisti che temono una complessiva destabilizzazione della regione intorno al Sudan.

Il ruolo di Egitto e Russia

Gli scontri in Sudan sono partiti il 15 aprile. Due le parti maggiormente interessate: da un lato l’esercito regolare, capeggiato dal generale Al Buhran, dall’altro le Rsf. Queste ultime sono le forze di intervento rapido comandate da Mohammed Dagalo, noto come Hemeti. Le due controparti si accusano a vicenda di aver avviato gli scontri. Le tensioni sono esplose quando, nell’ambito del programma volto a ridare al Paese un governo civile, è stato annunciato l’inquadramento delle Rsf tra i ranghi dell’esercito regolare. Circostanza non accettata da Hemeti. E adesso i due schieramenti si stanno contendendo quartieri di Khartoum e basi militari. Senza che nessuno riesca a prevalere sull’altro. Appare infatti difficile ad oggi capire come finirà il confronto sul campo.

Il primo Paese interessato all’evoluzione della vicenda è l’Egitto. Il governo de Il Cairo ha sempre avuto una certa influenza sul confinante Sudan. Oggi ci sono delicate questioni in ballo sulle quali il presidente Al Sisi punta sull’appoggio di Khartoum. A partire dalla vicenda relativa alle acque del Nilo, caratterizzata da una disputa con l’Etiopia dovuta al progetto di Addis Abeba di costruire una grande diga capace di diminuire la portata del fiume in territorio egiziano. Il Nilo attraversa anche il Sudan, da qui l’importanza per Il Cairo di coinvolgere Khartoum.

Al Sisi al momento sembrerebbe schierato con Al Buhran. Non è un caso che sabato, poche ore dopo l’inizio delle ostilità, sui social le Rsf hanno mostrato un video di militari egiziani arrestati e presi in ostaggio in una base militare non lontana dal confine. Un chiaro segnale lanciato da Hemeti al presidente egiziano. Ma anche un possibile casus belli per un eventuale intervento diretto de Il Cairo nel caos sudanese.

Alla finestra c’è un altro importante attore interessato. Ed è la Russia di Vladimir Putin. Mosca ha da anni intensificato i rapporti con Khartoum, già dai tempi di Al Bashir. Con quest’ultimo, detronizzato da un golpe nel 2019, il Cremlino ha stipulato contratti energetici e ha iniziato a discutere di una possibile base militare a Port Sudan, sul Mar Rosso. La compagnia Wagner è ritenuta avere costanti e importanti rapporti con le Rsf. Hemeti lo scorso anno ha negoziato forniture di armi e mezzi, pagando importanti somme grazie agli introiti provenienti dal mercato dell’oro sudanese, da lui stesso controllato. Anche in Russia quindi si segue con attenzione la vicenda. A differenza dell’Egitto però, Mosca non sembra sostenere una parte ben precisa: il Cremlino ha infatti buoni rapporti sia con Hemeti che con l’esercito regolare (e i generali che compongono il governo). Un interessamento russo potrebbe arrivare in un’eventuale fase di mediazione.

Gli attori del Golfo interessati

Il Sudan si affaccia sul Mar Rosso e questo nell’ultimo decennio ha contribuito ad aumentare l’interesse da parte delle petromonarchie del Golfo. Lo stesso Hemeti nel 2015 ha inviato parte delle Rsf nello Yemen, a supporto dell’offensiva saudita contro gli Houti. In quella circostanza, i rapporti tra Khartoum e l’Arabia Saudita sono diventati molto stretti. Così come molto intense sono diventate le relazioni con gli Emirati Arabi Uniti.

Si tratta di un rapporto, quello tra Khartoum e i Paesi del Golfo, che sa di perfetto matrimonio di convenienza: il Sudan ha bisogno di soldi per ridare linfa a un’economia disastrata, le petromonarchie hanno necessità di espandere la propria sfera di influenza fuori dalla penisola arabica. Al momento, sia Riad che Abu Dhabi sembrano voler mantenere un rapporto di equidistanza tra le parti in lotta. Anche i rispettivi governi, al pari di come già fatto dalla Lega Araba, hanno chiesto l’immediata cessazione degli scontri. Possibile pensare a un futuro ruolo di Emirati e Arabia Saudita come mediatori.

Gli scontri a Khartoum potrebbero incidere sul dossier libico

Le dispute tra Rsf ed esercito regolare sudanese, rischiano di avere un pesante impatto in Libia. I due Paesi condividono pochi chilometri di confine, ma non è la vicinanza geografica il vero nodo della questione. In Libia da anni sono presenti combattenti sudanesi. Gran parte di loro sono mercenari al soldo di Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica. L’apporto di queste milizie è importante per il generale perché permette il controllo di ampie zone del deserto. Secondo l’analista Claudia Gazzini, sentita su Agenzia Nova, Hemeti potrebbe richiamare al suo servizio i gruppi sudanesi. “Avrebbe – ha sostenuto l’analista – la forza economica di farlo”.

I combattenti sudanesi a quel punto non potrebbero dire di no e tornerebbero in patria per dare manforte alla Rsf. Per Haftar sorgerebbero non pochi problemi. In primis, dovrebbe trovare altre forze per presidiare tratti di deserto difficilmente controllabili. In secondo luogo, senza le milizie sudanesi una larga fetta di Fezzan da lui controllata potrebbe essere nuovamente contesa con le milizie e le tribù rivali. Al momento, ha però sottolineato Gazzini, non ci sono segni evidenti di un trasferimento di combattenti dalla Libia al Sudan. Ma l’eventualità non è così remota. E non mancherebbe di avere dirette conseguenze sul mai risolto dossier libico.

Il rischio di una destabilizzazione della regione

La Libia è però solo un esempio di come un definitivo scivolamento della crisi sudanese in un conflitto aperto, rischierebbe di trascinare con sé un’intera regione. La guerra, è il sospetto che circola tra i corridoi diplomatici, potrebbe uscire dai confini del Paese africano. Ci sarebbe infatti un coinvolgimento dell’Egitto: “Per Il Cairo questo sarebbe il momento buono per eliminare Hemeti”, ha dichiarato sul Washington Post l’analista sudanese Kholood Khair. Da qui si potrebbe aprire poi un effetto domino. Nella sopracitata Libia, così come in Ciad, altro Paese instabile e con diversi gruppi di mercenari potenzialmente assoldabili in Sudan.

Da non dimenticare come il Ciad è uno dei membri del cosiddetto “G5 del Sahel“. Un coinvolgimento di N’Djamena avrebbe l’effetto di un detonatore quindi anche nella regione saheliana, una delle più turbolente d’Africa e senza dubbio quella dove emergono i maggiori grattacapi per l’Europa. E a proposito di Paesi europei, colpisce (ma non sorprende) l’attuale scarsa influenza sul dossier sudanese dei governi occidentali. La questione, a prescindere dalla sua evoluzione, sembra un affare esclusivo delle potenze regionali locali.

Di Mauro Indelicato. (Inside Over)