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La strana intesa tra Israele ed Hezbollah per evitare la guerra

(Roma, 12.04.2023). I razzi lanciati dal sud del Libano contro Israele hanno avuto due effetti. Il primo quello più evidente, ovvero la reazione dello Stato ebraico con raid contro le postazioni dei responsabili dell’attacco. Il secondo, una curiosa condivisione di idee tra Hezbollah e lo Stato ebraico, entrambi concordi sul fatto che la responsabilità del lancio dei razzi contro la Galilea occidentale fosse esclusivamente opera dell’organizzazione palestinese Hamas.

La scelta di Israele e del partito-milizia libanese non era così scontata. I razzi diretti contro diverse località di confine – la maggior parte dei quali intercettata dal sistema Iron Dome – sono infatti stati lanciati da un’area, il sud del Libano, dove appare improbabile che Hezbollah fosse inconsapevole di cosa stesse accadendo. La regione, per quanto sempre più spostata verso l’organizzazione Amal, ha ancora un forte radicamento del movimento sciita legato all’Iran. Se è dunque vero che i palestinesi sono nell’area di tiro da intere generazioni, e quindi posseggono conoscenza capillare del territorio e autonomia, è altrettanto vero che difficilmente dal Libano accade qualcosa totalmente estraneo alla gerarchia di Hezbollah, tanto più in un momento in cui il leader di Hamas era giunto nel Paese per incontrare Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, e i vari luogotenenti palestinesi in Libano.

La distanza tra Hezbollah e Hamas

Israele e l’organizzazione sciita hanno però subito voluto mettere in chiaro che dietro quei razzi vi fosse effettivamente solo la milizia che comanda nella Striscia di Gaza. Una prospettiva comune che può indicare alcuni sviluppi interessanti delle logiche regionali e dei rapporti tra lo Stato ebraico e il Libano. Da un lato, Israele, come confermato anche dalle fonti di Axios, ha fatto intendere di non volere un allargamento del fronte. Colpire Hezbollah, infatti, avrebbe significato inevitabilmente accendere il fuoco di uno scontro poco gestibile in una fase di gravi tensioni interne e su diversi fronti. Le Israel Defense Forces, insieme al governo di Benjamin Netanyahu, hanno invece voluto mandare un segnale di restringimento degli obiettivi per evitare un’escalation che avrebbe condotto a una guerra assimilabile a quella del 2006 e col rischio di un incendio che sarebbe arrivato fino a Teheran.

La mossa, inoltre, spiegano le fonti del sito Usa, è servita anche per evitare che i razzi di Hamas si unissero ai missili di Hezbollah, ben diversi nel numero e nella capacità distruttiva. L’arsenale sciita, infatti, è molto diverso da quello in uso dai miliziani palestinesi, comprendendo anche ordigni ad alta precisione e con gittata in grado di minacciare città e infrastrutture strategiche dello Stato ebraico. Innescare una rappresaglia del Partito di Dio, avrebbe messo a repentaglio tutto il fronte nord di Israele, con il rischio che un contemporaneo assalto di Hamas e della Jihad islamica dalla Striscia di Gaza riuscisse a saturare Iron Dome riducendo sensibilmente la sua efficacia.

Cosa vogliono veramente Libano e Israele

Se Israele non ha voluto una escalation, altrettanto di può dire di Hezbollah e del Libano tutto. L’organizzazione filo-iraniana, come dimostrato anche dall’accordo sul confine marittimo siglato dal governo libanese con quello israeliano, di fatto ha già dimostrato di non volere un conflitto su larga scala con il vicino del sud. La fragilità dell’Iran e la debolezza economica del “main sponsor” di Hezbollah rendono impossibile per Nasrallah sostenere un conflitto, mentre per quanto riguarda il Libano, la crisi finanziaria e sociale in cui è sprofondato da anni non permette in alcun modo di avere il Paese al proprio fianco in una guerra aperta contro lo Stato ebraico. Il gas del Mediterraneo orientale, oggetto dell’accordo di spartizione, è visto come una manna dal cielo per una Beirut in crisi sistemica, e nessuno ha interesse a evitare che i libanesi possano sfruttare quelle risorse. E a conferma di questo, il primo ministro libanese, Najib Mikati, ha subito condannato il lancio di razzi contro Israele dicendo che il suo governo “si oppone all’uso del suo territorio per operazioni che destabilizzano la situazione”.

D’altro canto, a livello regionale, i maggiori attori locali e mondiali hanno premuto e premono affinché tra Israele e Libano non scoppi una nuova guerra. Non lo vogliono i Paesi arabi, consapevoli dei rischi di una nuova escalation anche per i rapporti con lo Stato ebraico. Non lo vogliono né gli Stati Uniti né la Cina, i primi impensieriti da un nuovo focolaio tra alleati, i secondi desiderosi di mettere il cappello sulla stabilità del Medio Oriente come già dimostrato dal sostegno al dialogo tra Arabia Saudita e Iran (a loro volta sponsor delle maggiori fazioni musulmane del Libano). La Russia, distratta dalla guerra in Ucraina e alleata dell’Iran ma partner di Israele, non può sostenere in alcun modo un’azione diplomatica che non sia quella di supportare la stabilizzazione.

Di Lorenzo Vita. (Inside Over)

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