Le proteste in Giordania e la paura di una seconda Primavera Araba

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(Roma, 07.01.2023). La guerra russo-ucraina ha scatenato diverse crisi in molti Paesi del mondo. L’aumento del costo della vita, la mancanza di generi di prima necessità, prezzi dell’energia schizzati alle stelle, povertà e disoccupazione in forte aumento, hanno determinato il malcontento di molte popolazioni. Tra queste la Giordania, Paese relativamente tranquillo rispetto agli altri dell’area MENA ma che nell’ultimo mese sta diventando la bomba a orologeria del Medio Oriente. Il vicino Egitto e la Tunisia stanno sperimentando stesse dinamiche e stessi dilemmi. Si sta forse aprendo una nuova strada per una seconda Primavera Araba ?

La causa delle proteste in Giordania

In Giordania, come in tutti i Paesi del mondo, i prezzi sono aumentati a dismisura e il costo della vita sta provocando una dilagante povertà. Anche il prezzo del petrolio, tendente ad oscillare quasi ovunque, nel Paese continua a salire senza mai scendere. Quando il prezzo del petrolio è sceso in tutto il globo tra i 75 e gli 80 dollari a barile, i giordani lo compravano a 0,92 dinari ovvero 1,30 dollari. Il governo ha quindi aumentato i prezzi del 25% quando nel resto del mondo sono calati del 30%. Unito a questo fattore c’è l’altissimo tasso di disoccupazione e il debito pubblico che sempre di più preoccupa la popolazione giordana. L’economia nazionale è stata soffocata dalle considerevoli misure adottate contro il Covid-19 e adesso la guerra in Ucraina ha complicato ancora di più il quadro facendo salire la disoccupazione al 20%. Il tasso di povertà si registra soprattutto al sud dove sono nate e le proteste.

La regione meridionale è già stata protagonista di diverse rivolte nel passato: la “Rivolta di Aprile” del 1989 che vide l’allora re Hussein bin Talal costretto a tenere libere elezioni e la “Rivolta del Pane” del 1996 conclusasi con la revoca da parte del governo dell’aumento al prezzo del pane. Una ricorrenza che sembra presagire un nuovo periodo di instabilità o di cambiamento radicale in senno alle istituzioni. Le attuali proteste sono più pericolose perché si stanno espandendo in tutto il Paese e le loro conseguenze stanno toccando alcuni suoi importanti settori.

Partendo quindi dal sud, i camionisti hanno indetto uno sciopero che poi è stato portato avanti dai commercianti della regione che hanno chiuso le porte dei loro negozi. La catena di approvvigionamento è seriamente minacciata a causa dell’interruzione delle strade che portano dal porto di Aqaba, l’unico del Paese, alle città settentrionali compresa la capitale Amman. Le proteste hanno provocato diversi disordini: i manifestanti hanno bloccato le strade dando fuoco a pneumatici e colpendo con pietre le auto della polizia. Le autorità hanno risposto col pugno di ferro definendo i manifestanti fuorilegge, arrestandoli e usando gas lacrimogeni per disperdere qualsiasi forma di assembramento. I disordini si sono poi concentrati nella provincia di Maan a 225 km dalla capitale Amman dove il vice capo della polizia Abdul Razaq Dalabeeh è rimasto ucciso negli scontri con i manifestanti.

Egitto e Tunisia in crisi: seconda Primavera Araba ?

La tensione è palpabile anche in Egitto e Tunisia, entrambi toccati dalla crisi energetica e alimentare e colpiti da un alto debito pubblico. Nel 2022 quello dell’Egitto ha raggiunto i 155,7 miliardi di dollari e la sua moneta ha subito un’ulteriore svalutazione facendo così aumentare i prezzi e creando una nuova ondata di povertà, quest’ultima già notevolmente alta se si considera che un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà. La situazione economica tocca particolarmente gli egiziani e, sommata alla costante violazione dei diritti umani, alle incarcerazioni e alle torture che subiscono migliaia di cittadini, potrebbe diventare la scintilla per delle ampie e radicali proteste.

La Tunisia non sembra attraversare un periodo migliore. La Banca centrale di Tunisia ha dato l’allarme spiegando che commercio e debito estero sono in perdita di 7 miliardi di euro, mentre il turismo e le rimesse degli emigrati all’estero di 2 miliardi. Il Paese prevede un macchinoso sistema di sovvenzioni sui beni di prima necessità e, l’aumento dell’inflazione causato dalla guerra in Ucraina, ha attirato l’interesse degli speculatori nei monopoli di Stato. Un’altra grave situazione è quella della crisi alimentare, la più grave della sua storia. Per le strade delle città manca tutto, dalla semola, ingrediente base della dieta tunisina, allo zucchero e al latte. Inoltre, da quando il presidente Kais Saied ha sciolto le camere nel marzo 2022, il malcontento è aumentato e le proteste, sparse per tutto il Paese, continuano senza sosta.

Da Amman, passando per Il Cairo e arrivando a Tunisi, gli ingredienti sono sufficienti per lo scoppio di una rivolta più ampia. Nel 2011, anno della Primavera Araba, la situazione era pressoché uguale: crisi economica, povertà dilagante, democrazia quasi assente. Quello che sta accadendo in Giordania potrebbe non essere un’ondata di proteste passeggera ma il preludio di un’ondata di rabbia che potrebbe travolgere l’intera regione. Come accaduto nel 2011, la collera di un Paese potrebbe farne vacillare un’altra portando ad un effetto domino.

Di Allegra Filippi. (Inside Over)