(Roma, 14 novembre 2022). Dura presa di posizione di Ankara, la quale vede nel sostegno Usa dato ai curdo siriani una delle cause dell’attentato di domenica
La Turchia ha rifiutato le condoglianze offerte dal governo degli Stati Uniti per la morte dei sei cittadini turchi nell’attentato di Istanbul di ieri. Lo ha dichiarato, in un discorso televisivo, il ministro dell’Interno Soleyman Soylu. Il gesto, sotto il profilo politico, è molto pesante. Ankara in questa maniera ha attribuito, seppur indirettamente, una certa responsabilità a Washington per quanto accaduto domenica nella più grande metropoli turca.
Gelo tra Turchia e Usa
Le parole di Soylu sono state tanto lapidarie quanto chiare. È lui per il momento, con Erdogan in volo verso Bali per partecipare al vertice del G20, a tenere le redini mediatiche in mano in una fase così delicata per il Paese.
Il titolare dell’Interno, dopo aver reso noto l’arresto della principale sospettata e di altri 21 presunti terroristi legati al Pkk, il partito dei lavoratori curdo, ha tagliato corto sulle condoglianze arrivate dai rappresentanti diplomatici statunitensi presenti ad Ankara. “Non accettiamo – ha dichiarato – le condoglianze dell’ambasciata degli Stati Uniti”. “Se non avessimo arrestato l’attentatore oggi sarebbe fuggita in Grecia – ha poi proseguito Soylu – per questo non possiamo accettare le condoglianze dell’ambasciata americana”. Quelle statunitensi sono le uniche condoglianze non accettate.
Dal resto del mondo sono arrivati messaggi di cordoglio da buona parte della comunità internazionale. Anche dall’Italia, così come dai Paesi dell’Ue, dall’Arabia Saudita, dagli Emirati, dalla Tunisia e da altri governi nordafricani e del mondo arabo. La Turchia ha respinto unicamente i messaggi indirizzati da Washington.
Una circostanza quest’ultima che ha reso il gesto turco ancora più delicato sotto il profilo politico. Ankara ha così espresso una chiara indignazione per l’operato della Casa Bianca nella regione mediorientale e adesso si rischia il gelo diplomatico tra le due parti. Il tutto poi a poche ore dal G20 e in una fase delicata nella guerra in Ucraina, dove la Turchia sta recitando un importante ruolo di mediazione.
Il perché del gesto turco
Le motivazioni della mossa del governo di Erdogan vanno ricercate in primis nel sostegno dato dagli Usa ai gruppi Ypg. Con quest’ultima sigla si indicano i gruppi di protezione popolare curdi in Siria, confluiti poi nelle forze Sdf (Syrian Democratic Force).
Le milizie Ypg sono state foraggiate e sostenute negli anni dagli Stati Uniti. Il tutto nella duplice funzione anti Assad e anti Isis. Sono stati propri i curdi infatti a prendere il controllo del nord della Siria a partire dal 2012, in opposizione al governo del presidente Bashar Al Assad. E in seguito, i curdi siriani sono stati armati dalla coalizione a guida Usa per sfidare lo Stato Islamico.
La Turchia ha sempre visto con sospetto queste mosse. Secondo Erdogan, i miliziani del Ypg sono legati a doppio filo al Pkk. E sono quindi considerati terroristi. Tanto è vero che Ankara per ben tre volte è intervenuta militarmente nel nord della Siria, aiutando miliziani siriani addestrati dai servizi segreti turchi a prendere il controllo di diversi distretti in mano curda.
Ahlam Albashir, la donna principale sospettata dell’attentato, proverrebbe secondo le autorità turche da Afrin, distretto conquistato dalle milizie filo Ankara ma dove gruppi di miliziani curdi sono ancora operativi. Il fatto che gli Usa, secondo la visione della Turchia, non abbiano mai smesso di appoggiare i curdi siriani rende Washington in parte responsabile dell’attentato di Istanbul.
In poche parole, Erdogan non vuole ambiguità nel rapporto con gli Stati Uniti e non vuole che Washington continui a dare un certo credito ai gruppi considerati terroristi. Diversamente, le relazioni tra i due Paesi sono destinate a precipitare ulteriormente verso il basso.
Di Mauro Indelicato. (Il Giornale)