(Roma, 12 novembre 2022). L’incidente diplomatico della Ocean Viking e la reazione di Parigi sull’accordo per i rifugiati riapre il tema del complesso rapporto tra Italia e Francia. Un “amore e odio” che nel corso degli anni ha avuto diversi alti e bassi, tra le diatribe sorte con l’allora governo gialloverde e l’idillio scattato sotto la guida di Mario Draghi. Tutto questo con un filo conduttore da non sottovalutare, Sergio Mattarella, che come presidente della Repubblica ha perorato la causa dei buoni rapporti tra Roma e Parigi fino ad arrivare alla firma del Trattato del Quirinale: suggello diplomatico di un riavvicinamento tra le due nazioni che serviva ipoteticamente anche come contraltare a un asse franco-tedesco che per anni aveva dominato lo scenario europeo e che mostra delle crepe di non poco conto nell’ultimo periodo.
Se il trattato è servito certamente a imprimere una svolta positiva nelle relazioni italo-francesi, d’altro canto questo non è mai apparso, almeno fino a questo momento, come un pilastro su cui poggiare le fondamenta per una rivoluzione dell’asse tra Parigi e Roma. Nonostante infatti siano contenute, all’interno del documento, una serie di iniziative volte a rafforzare la partnership tra i due Paesi in diversi ambiti e nell’ottica di un vero coordinamento strategico, l’impressione è che questo accordo sorga su un equilibrio delicato, investito da sospetti reciproci e rapporti che cambiano a seconda delle identità dei rispettivi governi. Una relazione appunto complessa che se da un lato ha motivi evidenti per migliorarsi, dall’altro non può non svelare delle forti divergenze.
Su questo punto, è necessario distinguere due diversi livelli di differenze di vedute: il primo di natura smaccatamente politica, l’altro di matrice più a lungo termine e che certo non ricade su questo governo né sulla presidenza transalpina. Sotto il primo profilo, è evidente che la compagine di centrodestra, con al suo interno una maggioranza che ha profonde differenze ideologiche con l’attuale presidenza francese, rappresenta per Emmanuel Macron un duplice problema. In primis perché distante rispetto ai precedenti esecutivi, e dunque rispetto alla visione su diversi dossier bilaterali e multilaterali. In secondo luogo, perché la presenza di un governo che ha affinità con l’opposizione dell’Eliseo, sia repubblicana che del Rassemblement, rappresenta una spina nel fianco e un costante banco di prova per un capo di Stato che dalle scorse elezioni è chiaramente indebolito. Il caso “Ocean Viking”, in questo senso, è estremamente interessante, dal momento che la partita sullo sbarco dei migranti dalla nave non è stato affatto gestita con un approccio che ripeteva uno schema europeisti contro sovranisti, ma al contrario come un problema in cui Macron si è dovuto difendere con mosse “sovraniste” dalle accuse di cedere di fronte a un governo europeo di destra.
A questo tema, si aggiungono poi gli inevitabili dissidi sul fronte strategico che negli anni non si sono mai realmente azzerati. Il primo riguarda proprio l’immigrazione, su cui si articolano almeno tre diverse questioni. La prima quella dei ricollocamenti, in cui l’Italia ha sì concluso un accordo per la redistribuzione europea dei rifugiati, ma con numeri assolutamente ridotti rispetto agli sbarchi complessivi nel Belpaese. Il secondo riguarda invece il nodo del Paese di partenza delle navi-madre e dei barconi che sfruttano la tratta degli esseri umani, la Libia. In questo senso, si apre il gravoso capitolo degli effetti della politica francese sul Paese nordafricano come volano del caos e della conseguente crisi migratoria mai terminata. L’assenza di una chiara strategia francese, l’avere voluto escludere all’inizio l’Italia e essersi poi accorti che il dissidio tra Parigi e Roma stava lasciando completamente campo a Turchia e Russia (oltre ad altre potenze arabe) hanno avuto come conseguenza il fatto che a Tripoli e nelle altre città della costa sia estremamente difficile imporre una via comune europea per evitare il caos e la crisi politica. Con Macron che anzi ha riconosciuto per diverso tempo l’operato di Khalifa Haftar mentre il blocco occidentale spingeva esclusivamente per il governo tripolino. Errore che, vale la pena ricordarlo, a un certo punto ha commesso anche l’Italia a guida Giuseppe Conte.
Seguendo poi la rotta delle migrazioni, ma al contrario, non deve sfuggire nemmeno il ruolo svolto dalla Francia nel Sahel, territorio fondamentale in cui si originano e si diramano i maggiori flussi migratori diretti verso il Mediterraneo. E anche qui la divergenza con Roma. La presenza militare francese nei Paesi della regione si è spesso rivelata esclusiva rispetto ad altre potenze europee – tra queste l’Italia – e solo adesso, con la prova che Parigi da sola non può riuscire a controllare il ginepraio africano, si è aperta la strada una missione europea come Task Force Takuba. Anche in questo caso, la volontà di Parigi di gestire autonomamente il dossier ha escluso l’Italia da una posizione in cui poteva avere maggiore polso sul controllo delle rotte ma anche delle cause che portano a questo esodo. E come in Libia, anche in Sahel la Francia si è resa conto solo tardivamente dell’impossibilità di mantenere in piedi un dispositivo senza l’ausilio dell’Unione europea e dei singoli Stati membri. Con il risultato che questi dissidi hanno lasciato ampo libero a Russia e Turchia.
Se questi sono i punti più lampanti, altri temi di non secondario interesse sono stati il segnale di un rapporto tra Italia e Francia che è necessario risolvere. Nel Mediterraneo, Parigi e Roma si sono spesso trovate a muovere i fili della diplomazia rivaleggiando l’una con l’altra, con il rischio di aprire la strada ad altre forze esterne all’Europa. Stesso dicasi per l’industria della difesa, con i colossi francesi che hanno spesso cercato di sfidare quelli italiani anche su questioni in cui, almeno teoricamente, vi doveva essere il massimo coinvolgimento e coordinamento. Basti pensare, a questo proposito, a quanto accadde tra Fincantieri e Parigi sul fronte della cantieristica, ma anche allo smacco subito dalla Francia per le fregate italiane cedute all’Egitto o in altri mercati in cui la cantieristica italiana ha ottenuto successi in cui l’Esagono riteneva di non avere rivali. Infine, non va dimenticato il nodo degli ex terroristi riparati in Francia, su cui i governi transalpini hanno sempre chiuso un occhio pur sapendo perfettamente che per l’Italia questo rappresentava una ferita aperta difficile da rimarginare e che meritava una maggiore attenzione.
Tutto questo riguarda inevitabilmente anche i rapporti all’interno dell’Europa. In molti leggono le relazioni bilaterali tra Italia e Francia come un contrappeso all’asse franco-tedesco o alla sola Germania e i Paesi del Nord Europa. Tuttavia, questa visione rischia di essere superficiale nel momento in cui non si comprende la differente prospettiva che hanno Parigi e Roma riguardo le politiche continentali. Per l’Eliseo, l’Europa è un moltiplicatore di potenza, un’arena in cui esprimere il proprio desiderio di leadership sul fronte diplomatico e della difesa. Lo ha fatto capire lo stesso Macron quando ha parlato di Nato in morte cerebrale e quando ha parlato lui, solo o con il cancellerie tedesco Olaf Scholz, con Vladimir Putin a nome dell’Europa. Per chiunque governa a Palazzo Chigi, invece, l’Europa non può necessariamente essere un moltiplicatore di forza, per una differenza di natura sistemica tra i due Paesi e per una diversa visione strategica che ha l’Italia rispetto ai partner transalpini. Lo dimostrano del resto anche i rapporti instaurati (sotto i migliori auspici) sul tema del debito pubblico europeo e della lotta all’austerità: questo non ha mai comportato alcuna idea di una possibile “lega latina” o “mediterranea” per controbilanciare i Paesi settentrionali o i cosiddetti “frugali”. Macron ha costantemente cercato l’asse con l’Italia o con altri Paesi in parte per ampliare la propria capacità negoziale con la Germania, in parte per ribadire i propri punti in agenda per l’Unione europea. Certamente un merito del presidente francese, ma il segno di una visione puramente europea in chiave francese e con differenze che rischiano di non essere mai appianate. Divergenze in cui l’affaire Ocean Viking appare come solo la punta dell’iceberg ma che devono essere risolte per evitare che l’Europa commetta nuovamente l’errore di dividersi di fronte a problemi di natura sistemica. Come ricordava l’ambasciatore francese in Italia su queste colonne, la differenza che ha portato al Trattato del Quirinale era il ritorno a un vero dialogo. In questo momento però c’è bisogno anche di una disponibilità ad ascoltare l’altra parte senza accuse e preconcetti.
Di Lorenzo Vita. (Il Giornale/Inside Over)