(Roma, 27 settembre 2022). La Turchia continua a muovere i fili della sua diplomazia per confermare quello che è il desiderio mai sopito del suo presidente Recep Tayyip Erdogan, e cioè essere mediatore tra Russia e Ucraina. Nonostante l’escalation impressa da Vladimir Putin con i referendum nei territori occupati (dal nord della Crimea fino alle repubbliche autoproclamate del Donbass) e con la mobilitazione parziale delle truppe, Ankara non vuole cedere. L’obiettivo della diplomazia turca è quello di rimettere intorno a un tavolo Kiev e Mosca, come già aveva fatto ad Antalya e come è riuscita a fare anche nella delicata partita del trasporto dei cereali dai porti ucraini. Ma quello che conta davvero per Erdogan, soprattutto in questa fase in cui l’Europa appare esclusa dalla partita della mediazione, è riuscire a intestarsi un ruolo che di fatto impone il “sultano” come possibile garante della stabilizzazione della porta d’Europa: l’Ucraina. E farlo riuscendo da un lato a non smettere di sostenere Kiev (Ankara ha ribadito di non volere riconoscere i referendum russi) dall’altro lato senza mai interrompere i canali di dialogo con il Cremlino.
A confermare la volontà di del governo turco sono stati sia il presidente stesso che il ministro degli Affari esteri, Mevlut Cavusoglu, che parlando dal Giappone ha sottolineato come la guerra non possa avere un “vincitore” e che, pur dovendoci essere “una pace giusta” per l’Ucraina con il ritorno dei territori occupati sotto il controllo di Kiev, “il nostro presidente proseguirà i suoi contatti con Putin e Zelensky”. Scopo di questi contatti, secondo Cavusoglu, “è riunire i due leader per garantire che le decisioni vengano prese al livello dei leader”. Secondo il ministro, solo attraverso un vertice tra i due presidenti, Putin e Zelensky, potrebbe raggiungersi un cessate il fuoco. E come riportato dall’agenzia turca Anadolu, Cavusoglu ha infine rivelato che anche a Samarcanda, durante il vertice dell’Organizzazione di Shanghai, nel bilaterale tra Putin ed Erdogan il capo dello Stato russo “ha detto che potrebbero tornare ai negoziati” pur aggiungendo che ci sono “nuove condizioni”.
La Turchia in questo momento persegue quindi il suo scopo di ritagliarsi uno spazio di mediazione sempre più ampio. Per Erdogan si tratta di un obiettivo fondamentale sia dal punto di vista internazionale che interno, e nell’ottica del rafforzamento della sua leadership sarebbe quella vittoria diplomatica che ne accrescerebbe il prestigio anche in ottica di campagna elettorale per il 2023.
Il tavolo su cui gioca il sultano è molto complesso. Da una parte ha bisogno che gli Stati Uniti sblocchino la questione F-16, i caccia voluti dall’Aviazione turca, e che eviti ulteriori rafforzamenti dell’asse con la Grecia (diventata vera e propria base Usa nel Mediterraneo). Dall’altra parte sa che la Russia è un partner fondamentale proprio per bilanciare la propria libertà d’azione interna alla Nato, pur sapendo che il partenariato con Mosca è quanto di più innaturale (a livello storico) per chi governo sulla Turchia. Infine, riuscire a strappare un ruolo di primo piano in questo delicato e difficilissimo negoziato sotterraneo tra Mosca e Kiev servirebbe anche a imporsi agli occhi della Cina e di altre potenze asiatiche, che come affermato nel vertice di Samarcanda, vorrebbero un accordo di pace il prima possibile. Accordo che tuttavia, nell’ottica specialmente di Pechino, non dovrebbe tradursi in una vittoria degli Stati Uniti.
In assenza di leader europei in grado di gestire il negoziato, con la Nato apertamente schierata con Kiev e contro Mosca, Ankara ha le carte in regola per muoversi con il tradizionale equilibrismo: ma tutto dipenderà dalla volontà di Putin (il portavoce Dmitry Peskov ha già raffreddato ogni ipotesi di trattativa allo stato attuale) e dalle scelte di Zelensky e degli alleati occidentali. I referendum nelle aree occupate, la mobilitazione delle truppe e lo spettro della minaccia nucleare non sembrano essere di buon auspicio. E anche per la leadership ucraina, la controffensiva vincente a est potrebbe indurre a evitare un negoziato che sarebbe visto, inevitabilmente, come una sconfitta.
Di Lorenzo Vita. (Il Giornale/Inside Over)