(Roma, 27 maggio 2022). Le dimissioni nei giorni scorsi di Boris Bondarev, uno dei diplomatici di lungo corso in seno alla missione russa presso la sede Onu di Ginevra, ha lasciato il segno. Non solo perché il gesto è stato eclatante e in palese contrasto con la linea di Mosca sulla guerra in Ucraina, ma perché potrebbe aver aperto un autentico “vaso di Pandora” nella diplomazia russa. Bondarev infatti non si è “limitato” a dimettersi dal suo incarico, fatto già di per sé piuttosto grave per il Cremlino, ma ha scritto una nota in cui si è detto “vergognato” dal suo Paese. Una nota pubblica, letta in tutto il mondo, anche in Russia e anche in quegli ambienti diplomatici di Mosca che già dalle prime ore del conflitto non erano molto favorevoli alle operazioni belliche. Fonti occidentali, come sottolineato dal Corriere della Sera, parlano adesso di almeno cento diplomatici pronti a ripetere il gesto.
La diplomazia russa non sempre in linea con il Cremlino
Il ministero degli Esteri russo non è molto distante dal Cremlino e dalla sede della presidenza. Ma non è nemmeno troppo vicino. Situato sulla Garden Ring, ossia l’anello stradale che gira attorno il centro di Mosca, il dicastero anche fisicamente è distaccato dagli uffici in cui si prendono le principali decisioni della vita politica russa e in cui si firmano gli atti più importanti. Nulla di nuovo nel contesto internazionale: anche la Farnesina, ad esempio, si trova distanziata dal centro politico di Roma dove hanno sede Quirinale, Palazzo Chigi e Montecitorio. In Russia però un “corpo autonomo” dal Cremlino non è visto sempre in modo positivo. Per questo per Vladimir Putin la guida di Sergej Lavrov, a capo del ministero degli Esteri dal 2004, è una garanzia. Principale mente delle scelte diplomatiche del presidente russo, Lavrov al contempo è anche uomo di fiducia del Cremlino. Colui che, davanti alle insofferenze del corpo diplomatico, riesce sempre a mettere una pezza.
La guerra in Ucraina però sta esercitando sull’interno dell’intero mondo politico di Mosca una pressione senza precedenti. Di mezzo questa volta infatti non c’è soltanto una linea politica su cui si può essere più o meno d’accordo. Al contrario, c’è un conflitto che rischia di tranciare buona parte della ragnatela diplomatica tessuta in questi anni da chi lavora all’interno del grande edificio di Garden Ring. Il tutto mentre gli occhi del mondo sono sempre più proiettati su Mosca. Dunque, il timore tanto di Putin quanto di chi ha condiviso con il presidente russo l’avventura bellica in Ucraina è che questa volta le insofferenze del corpo diplomatico possano essere difficilmente controllabili.
Lo stesso Lavrov nelle ultime settimane è apparso in affanno. Lui che con il suo lavoro negli anni è riuscito a ritagliarsi l’etichetta di uno dei più abili diplomatici contemporanei, da febbraio spesso è stato autore di uscite poco lungimiranti. Come quella sulle origini ebraiche di Hitler e sugli ebrei “primi antisemiti”, con riferimento
alle origini ebraiche del presidente ucraino Zelensky. Una frase pronunciata durante l’intervista a Zona Bianca il primo maggio scorso e per il quale lo stesso Putin ha poi chiesto scusa al premier israeliano Naftali Bennett. In molti, sia all’interno dell’opposizione russa che all’interno dei corridoio diplomatici occidentali, hanno ipotizzato un Lavrov non perfettamente d’accordo con l’operazione in Ucraina. Ma al di là della posizione personale del ministro, è evidente la sua difficoltà nel mantenere una linea di continuità con quella del Cremlino e, al contempo, rassicurare chi nel suo dicastero è sempre più insoddisfatto della guerra. L’impressione è che la coperta è sempre più corta e, tra la copertura da offrire alla linea di Putin e quella da dare ai mal di pancia dei diplomatici, rischia di strapparsi.
Altri diplomatici potrebbero seguire la scia di Bondarev
Ecco perché la mossa di Bondarev ha avuto un peso così importante. Dichiarare pubblicamente di vergognarsi della Russia per la guerra in Ucraina potrebbe aver acceso quella miccia che Lavrov stava cercando di disinnescare. Il quotidiano Kommersant nei giorni scorsi ha parlato di decine di diplomatici che avrebbero già rinunciato ai propri incarichi, senza però darne pubblica comunicazione. Fonti occidentali citate dal Corriere della Sera, hanno ipotizzato una lista di almeno cento diplomatici pronti invece a rendere pubblico il loro malcontento, usando proprio il precedente creato da Bondarev.
La questione sarebbe arrivata direttamente sul tavolo di Putin. Il segretario del Consiglio di Sicurezza, Nikolaj Patrushev, avrebbe presentato al presidente una lunga lista di funzionari del ministero degli Esteri e di diplomatici operanti nelle varie ambasciate russe in evidente disaccordo con la guerra. Il rapporto, di cui si è avuta notizia grazie ad alcune fonti occidentali ben “agganciate” con Mosca, presenterebbe i diplomatici come “traditori” e descriverebbe inoltre l’intero ministero degli Esteri russo come “un castello di carta poggiato sulla sabbia”. La situazione dunque potrebbe implodere in qualsiasi momento. Putin però è ben consapevole di non poter operare licenziamenti di massa. Questo darebbe più grattacapi al Cremlino perché presenterebbe agli occhi del mondo una Russia non così unita, circostanza quindi molto lesiva per l’immagine di Mosca.
Tutto è nelle mani di Lavrov. Dovrà essere lui a cercare di far bastare, con i mezzi e con il tempo a disposizione, quella stretta coperta che avvolge i malumori del corpo diplomatico. Un’operazione, come prevedibile, niente affatto semplice.
Di Mauro Indelicato. (Inside Over)