(Roma, 24 maggio 2022). A metà maggio il Mali ha annunciato il suo ritiro dall’organizzazione G5 Sahel e dalla forza militare antijihadista. L’organizzazione era stata creata nel 2014 congiuntamente con Ciad, Niger, Burkina Faso e Mauritania proprio per far fronte al problema del terrorismo nella regione. Ogni azione della giunta maliana, da quando ha preso il potere tramite un colpo di stato, ha portato ad isolare il Paese dalla comunità internazionale e avvicinarsi sempre di più a Mosca e a Pechino segnando una svolta non solo nelle relazioni internazionali ma anche in quelle regionali. Dando inizio a un fenomeno che potrebbe coinvolgere gli altri Paesi del Sahel.
Il susseguirsi degli eventi
Il 31 gennaio le autorità golpiste maliane del colonnello Assimi Goita hanno deciso di espellere l’ambasciatore francese Joël Meyer e dato l’ordine di ritiro delle truppe danesi della missione Barkhane dal paese, dando così il visto d’uscita simbolico a tutta l’Europa coinvolta nell’operazione. Dopo un mese concitato di dichiarazioni e supposizioni sull’avvenire, di deterioramento delle relazioni tra il Mali e la Francia, il presidente francese Emmanuel Macron, il 17 febbraio, ha annunciato il ritiro della Francia dal Mali mettendo quindi fine ad un capitolo militare durato nove anni. Macron ha annunciato che le forze francesi non sarebbero potute rimanere ancora in Mali dal momento che “non condividono le stesse strategie e gli stessi obbiettivi” con il nuovo governo militare di Goita.
Cosa cambierà e cosa ne pensa la popolazione ?
Giorni dopo l’espulsione dell’ambasciatore Macron ha annunciato che il ritiro non sarà immediato e che ci vorranno almeno sei mesi per attuarlo. Verranno mano a mano chiuse le tre basi francesi di Gao, Gossi e Menaka in coordinamento con le autorità Maliane e ancora 2.400 soldati resteranno in Mali fino alla fine. Se nella capitale Bamako si è festeggiato, a Gao nella “zona delle tre frontiere”, a cavallo tra Niger, Mali e Burkina Faso, la situazione è più tesa e gli abitanti sono sempre più preoccupati di un possibile arrivo dei jihadisti.
La task force Takuba svolgeva un lavoro fondamentale a fianco dei soldati maliani per contrastare le forze jihadiste legate ad Al Qaida. Adesso la ritirata potrebbe lasciar spazio ad un preludio di caos regionale in cui i gruppi jihadisti potrebbero prendere sempre più piede. Per loro infatti il ritiro delle truppe significa una grande vittoria e un modo per poter agire indisturbati.
Cosa può succedere ora
C’è da chiedersi cosa succederà alla regione? Il paese si avvicinerà a Mosca e Pechino? Gli altri Paesi del Sahel seguiranno le orme di Bamako? Gli scenari futuri si svilupperanno in un clima di incertezza. Intanto possiamo affermare – con le stesse parole di Macron – che la missione antiterroristica Barkhane non cesserà di esistere ma che molto semplicemente verrà rafforzata in altri paesi, come in Niger e nei paesi del Golfo di Guinea. La presenza francese – e quindi europea – rimarrà e verrà rafforzata al di fuori dei confini maliani.
Secondo l’editorialista e commentatore di notizie internazionali Gauthier Rybinski un probabile scenario potrebbe comprendere un accordo tra il governo maliano e i gruppi jihadisti in modo tale da creare una convivenza pacifica. Ma la situazione non riguarda soltanto i gruppi estemisti poiché il Sahel rientra in una zona strategica dove possono – e stanno – giocando diversi attori internazionali. Aldo Pigoli, professore di Storia dell’Africa Contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, contattato da InsideOver spiega che “la questione principale non è quella della lotta al terrorismo, che continuerà sia da parte della Francia, che dell’Ue, unitamente a quanto messo in campo dagli Usa attraverso vari programmi e il ruolo dello US AFRICOM. Il tema che già da qualche anno si va prospettando, è invece quello del progressivo affiancarsi e sostituirsi ai Paesi occidentali sulle questioni della sicurezza di Paesi quali Russia e Cina”. “Se del ruolo economico e politico cinese in Africa se ne parla ampiamente da circa 15 anni”, continua il professore, “meno evidente è quanto Pechino sta portando avanti dal punto di vista della Difesa e Sicurezza e che vede alcuni Paesi africani, tra cui quelli saheliani, rivolgersi anche alla Cina per far fronte alle loro necessità. Dal 2011 in poi, invece, con la caduta di Qaddafi in Libia, l’area del Sahel e dell’Africa centrale hanno visto il crescente ruolo russo, sia diretto, come nel caso della Repubblica centrafricana, che indiretto, attraverso l’utilizzo di realtà come il Wagner Group. L’aspetto più significativo appare proprio questo, che riguarda lo spostamento del baricentro geostrategico in Africa, con il ruolo sempre più rilevante di attori non NATO”.
Il governo di Goita ha assoldato da poco proprio i mercenari della compagnia Wagner il cui numero è destinato a salire vertiginosamente. Prosegue Pigoli: “Sicuramente, ogni calo di presenza e pressione da parte della comunità internazionale può costituire un elemento negativo in termini di capacità di contrasto e prevenzione alle attività di organizzazioni terroristiche. Il fatto che la Francia si ritiri dal Mali è dato sia dal peggioramento dei rapporti politico-diplomatici con la nuova leadership, sia dalla necessità di rivedere la strategia sviluppata in questi anni, che non ha manifestato una significativa capacità di impatto nel far fronte alle minacce jihadiste. Ma questo è dovuto anche ad un più ampio contesto di ridefinizione delle dinamiche politiche nel continente africano”.
La crisi securitaria che quindi investirà l’area non riguarderà solo i protagonisti – Bamako e Parigi – ma bensì altri attori che, in un modo o in un altro, sono già presenti nel territorio. “Il Mali si sta isolando da tutti”. Queste le parole di Kassoum Tapo, portavoce del Framework of Parties for a Successful Transition. E secondo lui è proprio grazie alla missione Barkhane e ai suoi soldati che il paese non è stato completamente invaso dai jihadisti. Adesso invece rimane tutto nelle mani di Bamako e più in particolare del nuovo leader politico Asimi Goita. Sarà lui a guidare il paese ed è attraverso le sue prossime strategie che capiremo di più sulle sorti non solo del Mali, ma dell’intero Sahel e della sicurezza dell’Europa.
Di Adele Ferrari. (Inside Over)