Come si sta rafforzando IS in Africa

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(Roma, 17 maggio 2022). Lo Stato islamico sta rinascendo in Africa, sfruttando le debolezze istituzionali e lo scontento creato dal malgoverno locale per permettere alla propaganda jihadista di attecchire. Il proselitismo ha creato in Mali, Nigeria e Mozambico situazioni altamente pericolose a livello internazionale

La velocità con cui lo Stato islamico sta guadagnando terreno in Africa è preoccupante, spiega una analista del settore sicurezza parlando delle dinamiche attuali di quel gruppo che un tempo controllava una parte di Siria e Iraq, sotto il Califfato di Abu Bakr al Baghdadi. “Diverse aree africane, soprattutto al centro-nord, sono punto di rinascita del gruppo — continua — e, visto il contesto delicato, l’evoluzione africana è adesso il principale obiettivo della Coalizione Globale per Sconfiggere l’Isis, che nella riunione annuale fatta questa settimana a Marrakech ha riconosciuto come il gruppo terroristico stia guadagnando rapidamente fette di territorio controllato, sfruttando lo scontento locale, spesso legato al malgoverno, per prendere il potere in regioni del Mali, del Niger e del Burkina Faso”.

Dopo anni di fallimenti militari in Siria e Iraq, gli affiliati dello Stato Islamico — così come altri gruppi di insorti e bande criminali che hanno adottato il marchio dello Stato Islamico — hanno ampliato il controllo e intensificato gli attacchi contro obiettivi civili e militari in alcune delle regioni politicamente più instabili dell’Africa occidentale. Il ministro degli Esteri marocchino, Nasser Bourita, ha avvertito durante la riunione che la regione africana del Sahel è ora “la casa dei gruppi terroristici più letali e in rapida crescita al mondo”.

L’area di maggiore preoccupazione è quella subsahariana, perché è quella dove i gruppi contano più partecipazione, gli affiliati — ufficiali o meno — sono più attivi, il territorio è dispersivo (anche privo di controlli e monitoraggio), le condizioni istituzionali di alcuni dei Paesi della zona instabili, il malcontento generale alto (soprattutto tra i giovani). Secondo il rapporto Global Terrorism Index 2022 pubblicato dall’Institute for Economics and Peace, l’Africa subsahariana ha rappresentato da sola il 48% dei morti per terrorismo a livello globale nel 2021.

Si stima che lo Stato Islamico in Africa occidentale, un wilayat attiva dal 2016 il cui ruolo narrativo è cresciuto ultimamente creando maggiore proselitismo, abbia circa 5mila combattenti tra le sue fila in Nigeria e Niger, oltre che nel vicino Camerun. La branca di questa nota come Stato Islamico nel Grande Sahara, che opera nei pressi del Golfo di Guinea, conta circa mille combattenti. Lo Stato Islamico in Mozambico ha circa 1.200 combattenti, mentre non è nota la consistenza di ciò che è rimasto del gruppo in Libia — dove i militanti si sono dispersi dopo che Sirte, diventata tra il 2015 e il 2016 una capitale globale dell’Is, è stata liberata. Nel Sinai è ancora attivissima l’unità locale dell’ex Califfato, che anche in questi giorni ha attaccato una postazione militare egiziana uccidendo diversi soldati e rubando varie tipologie di armi.

L’ascesa dei baghdadisti in Africa centro-settentrionale si abbina con l’interruzione di attività di anti-terrorismo condotte da alcune Paesi dell’Ue. La situazione nello specifico si lega all’uscita dal Mali delle forze europee guidata dalla Francia, dopo che Bamako è finito in mano a un giunta golpista che ha affidato la propria sicurezza alla società privata russa Wagner. Questi contractor collegati al Cremlino sono già stati accusati di azioni brutali — che hanno cercato anche di attribuire ai francesi — quando hanno colpito anche civili innocenti non discriminandoli ai terroristi. Un atteggiamento che non fa altro che potenziare la narrazione baghdadista che si basa anche sul proxy classico della liberazione di quei territori dagli occupanti, “stranieri infedeli”, e dai governi che con loro sono “collusi”.

Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha negato che la missione antiterrorismo della Francia in Mali sia fallita, ma mentre le truppe francesi si ritiravano i gruppi terroristici hanno guadagnato terreno. In ciò che sta accadendo, non ha aiutato il fatto che la strategia antiterrorismo degli Stati Uniti e dell’Europa sia stata quella di collaborare con i governi della regione, fragili, autocratici e inclini ai colpi di Stato. Combattere insieme a questi le organizzazioni, anche quando sono state proprio queste autocrazie mal governate a fornire il terreno fertile per la diffusione del terrorismo.

Il Mali è uno dei luoghi in cui le istanze dei predicatori legati all’Is (e ad al Qaeda) sono più prolifere. È da qui che parte della propaganda si allarga ai Paesi vicini e si riproduce usando moltiplicatori efficaci. Lo Stato islamico può essere visto come una serie di barbari che predicano l’applicazione di principi islamici radicali e medioevali, ma è anche un’organizzazione molto lungimirante, con idee chiare non solo su ciò che il futuro porterà, ma anche su ciò che dovrebbe portare per i propri interessi.

Allo stesso modo, la sfida dell’Is-M, sigla con cui viene indicata la filiale in Mozambico, è fondamentale: nel Paese si potrebbe formare una enclave salfita-jihadista che significherebbe il ritorno al controllo territoriale baghdadista, con tutto ciò che rappresenta in termini di propaganda e proselitismo (per altro potrebbe avvenire in una delle zone in cui sono presenti reservoir di idrocarburi). Davanti a questa possibilità, le capacità di contrasto — militare, sociale e politico — di Maputo potrebbero essere non adeguate. Ciò rende la situazione un problema di caratura internazionale, che si lega anche ai piani di sviluppo delle relazioni europee connesse al mondo energetico, dove la questione stabilità/sicurezza è uno dei temi nell’approfondimento dei rapporti.

Di Emanuele Rossi. (Formiche)