I cinque errori che hanno portato Marine Le Pen alla sconfitta

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(Roma, 24 aprile 2022). Due a zero per Emmanuel Macron: a cinque anni di distanza dal 2017, l’affermazione del presidente al ballottaggio contro Marine Le Pen è meno travolgente (58% contro 42% a fronte del 66-34 del 2017) ma comunque decisamente ampio. E la Le Pen si trova nuovamente nella situazione di dover commentare il miglior risultato della storia del Rassemblement National senza che esso sia stato sufficiente a superare lo scoglio delle elezioni presidenziali.

L’operazione di “normalizzazione” ha funzionato ma non è bastata. La retorica oltre la destra e la sinistra, il tribunismo della Le Pen, la retorica centro contro periferia hanno sdoganato il sovranismo francese ma non al punto tale da permettergli la vittoria contro Macron. La candidata sovranista ha indubbiamente programmato con cura la corsa all’Eliseo ma ha commesso alcuni errori decisivi che non hanno consentito il coronamento del sogno presidenziale.

In primo luogo, un errore politico da matita blu: non comprendere lo spostamento a destra di Macron. Su diversi temi, come la lotta al separatismo islamista, Macron ha da tempo operato lo spostamento strategico verso le visioni dei temi cari all’elettorato di centro-destra, nazionalista e patriottico, anche per ragioni di necesità pragmatica. Invece che inseguire il presidente accusandolo di essere esponente delle élite, la Le Pen avrebbe dovuto tempo fa studiare contromosse per depotenziare questa occupazione che è costata cara a tutte le destre.

In secondo luogo, il mancato tentativo di cercare un asse con Eric Zemmour, con il quale la Le Pen è stata coinvolta in una durissima guerra di nervi che ha logorato le forze e mostrato le divisioni di campo nel mondo sovranista francese. Con tanto di faida famigliare, per il sostegno dato dalla nipote Marion Marechal al tribuno divenuto candidato presidente.

Terzo errore, la ripetitività del programma. Aveva davvero senso parlare, nel 2022, di immigrazione incontrollata, “sostituzione etnica”, temi legati alla preferenza nazionale sul welfare di dubbia applicabilità e politiche simili per sostenere un’agenda mirata nelle dichiarazioni a difendere i francesi della periferia e dell’interno? Come abbiamo commentato, l’agenda economica della Le Pen sembrava scritta per non essere mai testata alla prova del governo risultando in un certo senso addirittura più semplicistica di quella del 2017.

Quarto sbaglio, un tema politico fondamentale: la sottovalutazione della mobilitazione urbana. Il Rassemblement ha vinto solo in 2 delle 42 città francesi con più di 100mila abitanti al primo turno, contro le 18 conquistate da Macron e le 22 vinte da Jean-Luc Mélenchon. Ebbene, la Le Pen da un lato dava la caccia ai voti di Mélenchon per il secondo turno, dall’altro però ha operato una retorica tale da scontentare il bersaglio grosso, l’elettorato urbano che ha scelto la sinistra radicale al primo turno.

Infine, un errore “contingente”. L’incapacità della Le Pen di costituirsi come figura di governo credibile nei mesi in cui Macron appariva il mediatore per la risoluzione della crisi russo-ucraina. E qua si sconta la scelta, erronea, di fare del Rassemblement un partito dai toni fortemente familistici se non addirittura personalistici. Tanto che ora la grande problematica per i lepenisti sarà capire che strada si potrà compiere se nel 2027 l’attuale candidata non sarà, per la quarta volta, ai nastri di partenza delle presidenziali.

Cinque sbagli complessi hanno dunque pregiudicato la corsa della Le Pen all’Eliseo. E il dibattito finale con il presidente prossimo alla riconferma li hanno visti condensati in una sola serata: la Le Pen non ha saputo modificare in senso “governista” la sua retorica, è stata messa all’angolo sulla gestione dei temi concreti, è parsa poco in grado di maneggiare la complessità di molti dossier. Ora l’obiettivo per il Rassemblement  resta quello di monetizzare parte della crescita di consenso al voto per l’Assemblea Nazionale, ma per l’Eliseo da qui al 2027 le porte resteranno sicuramente sbarrate. E c’è da scommettere che, come cinque anni fa, proprio la candidata e donna-simbolo del Rassemblement sarà chiamata a rendere conto di come il miglior risultato storico del partito non sia valso, una volta di più, la conquista della presidenza.

Di Andrea Muratore. (Inside Over)