(Roma, 24 aprile 2022). Il ballottaggio delle elezioni presidenziali francesi è alle porte e per capire se Emmanuel Macron avrà nuovamente la meglio su Marine Le Pen o se la leader del Rassemblement National riuscirà a scalzarlo dal trono repubblicano dell’Eliseo bisogna analizzare una serie ristretta ma precisa di variabili.
La prima e più importante è sicuramente la condotta dell’elettorato dell’uomo che sarà il vero “arbitro” di queste elezioni, Jean-Luc Mélenchon. Il leader della Sinistra radicale francese, in un mese, ha raddoppiato i suoi consensi rispetto ai sondaggi di marzo, al voto del 10 aprile ha conquistato circa il 22% dei suffragi e si è fermato a soli 421mila voti dalla Le Pen, seconda con il 23,15% dei consensi, e dall’accesso al ballottaggio. Mélenchon si è rifiutato di appoggiare esplicitamente Macron ma ha dichiarato esplicitamente che non un solo dei suoi voti deve andare all’estrema destra. Ciononostante, si parla del fatto che tra un quinto e un quarto dei suoi elettori possano scegliere la leader del Rassemblement National al secondo turno.
Seconda variabile è quella connessa all’astensione. Macron vanta una decina di punti di vantaggio nei sondaggi rispetto alla Le Pen, dato al 55-56% contro il 44-45% della sfidante, ma molto dipenderà dalla capacità del presidente di mobilitare parte dei 12,8 milioni di elettori non presenti alle urne al primo turno sperando che l’effetto del “fronte repubblicano” contro l’estrema destra sia un fattore mobilitante.
Terza variabile è quella che combina le prime due con il dato geografico. Sì, perché il voto si è distribuito in forma ben precisa al primo turno, specchiando una serie di complesse dinamiche della società francese accumulatesi nell’ultimo decennio e accelerate nell’ultimo triennio, caratterizzato dalla jacquerie dei Gilet Gialli e dalla pandemia di Covid-19. Il voto regionale disegna una Francia spaccata in tre: a Sud e nel Nord-Est (Haut-de-France) la mappa si colora del blu dei sovranisti, con la Le Pen che tocca i risultati massimi nel Dipartimento dell’Aisne (39% dei consensi). La regione di Parigi è rossa come Mélenchon, secondo nella capitale e primo nell’hinterland, con quasi la metà dei voti conquistati nella banlieue di Saint-Denis (49%), dipartimento ove i suoi consensi sono al massimo. Macron ha picchi minori, arriva al massimo al 37% nella prospera periferia parigina dell’Hauts-de-Seine, ma più costante. Il giallo En Marche colora la mappa elettorale in tutta la Francia occidentale, dalla Gironda alla regione della Loira fino ai dipartimenti atlantici della Bretagna e della Normandia.
Ma il dato politico impone di analizzare ulteriormente in complessità queste dinamiche. In buona parte dei dipartimenti in cui Le Pen e Mélenchon vincono, Macron si è piazzato secondo, lasciando all’altro candidato radicale la terza piazza. Segno di una maggiore polarizzazione tra gli elettorati di entrambi i candidati che non attingono alla base di consenso di Macron, stabile al 22-25% in buona parte dei dipartimenti. C’è però da considerare in particolare le dinamiche di tre aree geografiche precise, che le mappe di Le Grand Continent consentono di analizzare:
- Parigi, ove Mélenchon e Macron assieme sfiorano i due terzi dei consensi e in cui la Le Pen si ferma al 5,5%, è una variabile chiave. Se Macron sfonderà mobilitando l’elettorato della capitale, che appare il meno compatibile con il Rassemblement, avrà una fetta di rielezione in tasca. Se invece buona parte dei votanti di Mélenchon sceglierà un’astensione tattica non volendo premiare né la destra moderata del presidente né quella sovranista della sfidante la partita si farà dura.
- Occitania, Dordogna e Provenza sono le roccaforti al Sud del Rassemblement National e in diversi dipartimenti si è proposto lo schema inedito con Le Pen prima, Mélenchon secondo e Macron terzo. La capacità della candidata del Rassemblement di insidiare Macron sarà molto testata in questa zona: se il disagio della Francia profonda incarnata da Mélenchon contro la metropoli parigina si sommerà alla roccaforte sovranista, Le Pen avrà una chance.
- Il Nord-Passo di Calais e le regioni depresse della provincia vicina al confine belgo-olandese e alla Manica andranno monitorate per capire se, sulla carta, Le Pen saprà conquistare i voti di destra di Eric Zemmour o se parte dell’elettorato gollista che ha scelto il tribuno e polemista sceglierà di distanziarsi dalla candidata sovranista.
Degno di nota anche il fatto che nelle città sopra i 100mila abitanti Mélenchon abbia vinto in 22 casi su 42, Mmacron in 18 e Le Pen solo in 2. In centri come Lille, Saint-Etienne, Marsiglia, Nantes, Tolosa e Rennes in cui Mélenchon è uscito vincitore l’elettorato è costituito in larga parte da giovani studenti molto attenti alle tematiche progressiste. Qui la speranza per la Le Pen sta nella possibilità di una scarsa mobilitazione dell’elettorato.
Riassumendo, l’esito delle presidenziali sarà deciso dalla combinazione geografica della scelta di una fetta di elettorato non rappresentata al ballottaggio ma altamente liquida come quella di Mélenchon. Semplificando, un’affluenza scarsamente mobilitata in senso anti-sovranista nei grandi centri e una rendita di posizione della Le Pen nella periferia settentrionale e meridionale può favorire la rimonta difficile ma non impossibile contro l’inquilino dell’Eliseo. Macron, invece, deve sperare che nei grandi centri si costituisca una base di consenso tale da rendere difficile ogni rimonta lepenista. La sensazione, in ogni caso, è quella di un Paese spaccato ancor più di quanto i voti del 2017 e delle Europee 2019 avessero tratteggiato. E che dopo le presidenziali sarà ancora più difficile ricomporre.
Di Andrea Muratore. (Il Giornale/Inside Over)