(Roma, 23 aprile 2022). Per la prima volta, Mosca cita pubblicamente tra le sue mire la regione sepratista della Transnistria. Mentre la premier moldava accelera la richiesta di adesione all’UE
Non solo il Donbass, ma anche l’Ucraina meridionale. E da qui la Transnistria, il territorio separatista filorusso della Moldavia. Sarebbe questo il piano della cosiddetta fase 2 della guerra lanciata dalla Russia. Lo ha fatto intendere durante una conferenza il vice comandante in carica del distretto militare centrale di Mosca, Rustam Minnekayev. Parole che arrivano dopo le dichiarazioni di fuoco del ministero degli Esteri, che ha duramente criticato la decisione della Moldavia di vietare l’esposizione pubblica del « nastro di San Giorgio » arancione e nero e di altri simboli usati dalle forze russe durante l’invasione dell’Ucraina.
Per la prima volta dall’inizio dell’invasione, un alto ufficiale russo parla di un piano che non si limita alla « missione umanitaria » in Donbass, ma prevede un’espansione fino ad Odessa e da qui in un altro Stato ex sovietico, la Moldavia per l’appunto. Tra l’altro, la minaccia è arrivata nel pieno delle trattative tra Chisinau (la capitala moldava) e Bruxelles per accelerare il processo di adesione del Paese all’Ue: è di oggi l’annuncio della premier Natalia Gravilita del completamento della prima parte del questionario da presentare alla Commissione europea per ottenere lo status di Paese candidato all’accesso, lo stesso passo che sta compiendo Kiev. Ma perché Putin vuole conquistare la Transnistria?
Un Donbass moldavo ?
La Transnistria è una piccola enclave separatista, con capitale a Tiraspol, non riconosciuta da nessuna delle nazioni dell’Onu (nemmeno da Mosca) nata da un’insurrezione armata avvenuta dopo la caduta dell’Unione sovietica nel 1992. Al momento ci sono 1.500 soldati russi di stanza sul suolo di quello che è uno Stato indipendente de facto, cosa che è stata criticata dalla Moldova, dalla Nato, dall’Ucraina e dagli Stati Uniti. Questi militari furono inviati dopo l’insurrezione come contingente di pace, anche con il consenso di Chisinau (la capitale della Moldavia), ma con l’impegno di lasciare il Paese dopo un anno. Ne sono passati 30 e sono ancora lì.
Passaporti russi
L’enclave, il cui nome ufficiale è Repubblica Moldava Pridnestroviana, come le insorte insorte Donetsk e Lugansk nel Donbass in Ucraina, si rifà al simbolismo sovietico, e sulla sua bandiera c’è anche la falce e martello. La repubblica ha i propri servizi di sicurezza, il proprio governo la propria valuta e ha il controllo delle frontiere. La Russia ha svolto esercitazioni militari nella regione fino al 2 febbraio e afferma che la presenza dei soldati della Federazione è essenziale per proteggere i propri cittadini nell’area e mantenere la pace tra moldavi e transnistriani. Circa 400mila persone vivono nell’enclave e la stragrande maggioranza di loro si sente russa: in un referendum nel 2006 il 97,2% degli elettori sostenne l’adesione alla Federazione, proprio come è avvenuto nel 2014 in Crimea e poi nelle insorte Donetsk e Lugansk nel Donbass. E proprio come accaduto nel Donbass, a partire dal 2002 Mosca ha rilasciato passaporti ai residenti, una mossa che ha fatto infuriare Kiev e Chisinau.
Sostegno ai nuovi separatisti
Putin potrebbe tentare di destabilizzare la Moldavia anche alimentando il separatismo in una regione autonoma del Paese, la Gagauzia. Come riporta Politico Kamil Calus, analista del Center for Eastern Studies con sede a Varsavia, ha affermato che il Cremlino potrebbe preparare uno « scenario della Crimea » nell’enclave, che è popolata da un gruppo turco cristiano ortodosso storicamente filo-russo. A febbraio, il 98,4% di Gagauz ha votato in un referendum regionale a favore dell’adesione all’Unione doganale eurasiatica russa piuttosto che perseguire una più profonda integrazione con l’Unione europea.
Dimenticare Kiev
Con la Russia, dunque, Transnistria e Gaugazia hanno sicuramente un rapporto solido. Ma a differenza del Donbass ricco di risorse energetiche e minerarie, queste regioni non sono così strategiche sotto il profilo economico. Anzi, le loro economie sono fortemente dipendenti dall’export verso Mosca, che di fatto garantisce buona parte del reddito della popolazione locale. Anche per questo motivo, finora, Putin si è tenuto a distanza da rivendicare tali territori. Ma le difficoltà incontrate in Ucraina potrebbero avergli fatto cambiare strategia. Secondo alcuni analisti, il Cremlino ha bisogno adesso di conquiste anche simboliche per far dimenticare il presunto fallimento del suo piano A, ossia il rovesciamento del potere a Kiev. E così « liberare » anche i russofoni di Moldavia potrebbe diventare la ciliegina sulla torta del piano B. Sempre che l’Ucraina del Sud, con il porto di Odessa, cada.
Di Dario Prestigiacomo. (Europa Today)