(Roma, 18 aprile 2022). Che cosa succede al Cremlino ?
L’affondamento della Moskva, la nave ammiraglia da 12.500 tonnellate armata con molteplici sistemi antinave e terra-aria, colpita da due missili da crociera Neptune, rappresenta un colpo al prestigio del Cremlino, alla Marina militare, ai Servizi di intelligence russi ed una grande vittoria per l’Ucraina. Una ennesima battuta d’arresto all’offensiva in Ucraina che sta ulteriormente esacerbando il feroce scontro tra i 4 diversi gruppi di potere che governano il Cremlino dopo la mancata caduta della capitale ucraina Kiev.
Nonostante la narrazione occidentale individui in “Putin” l’unico responsabile politico di questa guerra contro l’Ucraina, il processo decisionale al Cremlino è fortemente influenzato dai 4 diversi gruppi di potere nati dal Kgb i quali, anche se portatori di interessi diversi ed a volte ostili tra loro, tutt’oggi gestiscono il potere in tutte le 15 ex repubbliche sovietiche e in tutta l’Europa dell’Est. Per questi potentissimi agglomerati di interessi e per la stragrande maggioranza dei cittadini della Federazione russa, l’Urss è ancora viva, in un certo senso…
Le 4 fazioni discendenti dal comune progenitore Kgb sono quelle di: “Pietroburgo” (rappresentato dal presidente Putin), “Mosca” (il più potente perché rappresenta i militari, fino a qualche giorno fa capeggiato dal ministro della Difesa Shoigu), “Famiglia” (rappresentato dall’ex presidente della Federazione Dmitry Medvedev, oggi vicepresidente del Consiglio per la sicurezza nazionale, e falco della guerra) e quella del generale Alexander Korzhakov.
Sono tutti soci fondatori ed esponenti di spicco del Partito di maggioranza assoluta “Russia Unita”, costituito il 1º dicembre 2001 dalla confluenza di due distinti soggetti politici: Patria – Tutta la Russia – movimento lanciato il 19 novembre 1998 dal sindaco di Mosca Jurij Lužkov, e Unità – partito fondato il 3 ottobre 1999 per sostenere il presidente della Federazione Russa Boris El’cin e poco tempo dopo il suo successore in pectore Vladimir Putin.
Gruppi di potere nati dai Servizi segreti sovietici costituiti nel territorio della Germania orientale occupata nel 1945 dal servizio estero del KGB, poi diventato Ministero della sicurezza dello Stato – noto anche con l’acronimo MGB. Originariamente queste “correnti” erano due, poi diventate 4 ed oggi rappresentano le colonne portanti del partito che forte dei suoi consensi occupa la stragrande maggioranza dei seggi alla Duma ed al Consiglio Federale. Un’organizzazione dello Stato nata dalla “Direzione Generale Sovietica della Maskirovka Strategica” (GUSM) e che ha permesso all’allora sconosciuta spia – Vladimir Putin – rimasta disoccupata dopo la caduta del muro di Berlino, di essere nominato capo della fazione di Pietroburgo. L’impossibilità delle due più forti fazioni di Mosca di imporre un proprio rappresentante alla guida del paese, portò al compromesso di far nominare Primo ministro il capo della corrente più debole, lo sconosciuto funzionario del KGB Putin, per farlo subito dopo eleggere presidente al posto del dimissionario Yeltsin.
Da allora, il presidente Vladimir Putin ha eccelso nel portare avanti la Maskirovka, il cui obiettivo principale è quello di (ri)costituire una versione moderna e tecnologica dell’URSS, ricostruendo le capacità di influenza strategica della Russia attraverso una aggressiva politica basata sulla disinformazione, sull’uso geopolitico delle risorse energetiche, sull’accesso illimitato al denaro ed alle “élite” occidentali.
POSSIBILITÀ DI UNA RIVOLUZIONE DI PALAZZO ?
L’”operazione militare speciale” in Ucraina ha fatto saltare ogni equilibrio interno ed esterno, minando gli accordi tra le fazioni dominanti al Cremlino e dando spazio a diffidenza e tensioni tra il presidente russo ed i membri della sua cerchia originaria. Scontri che hanno già provocato destituzioni e arresti che stanno alimentando le speculazioni su un possibile “regime change”, anche se tutti gli esperti ritengono scarse le possibilità di una rivoluzione di palazzo.
Tensioni che nelle ultime settimane si sono violentemente scaricate anche all’interno dell’FSB, il servizio segreto russo, dov’è in corso una massiccia campagna di epurazione e trasferimenti forzosi verso una destinazione che da sempre fa tremare tutti i russi: la prigione di Lefortovo, situata a sud-est di Mosca e nota per le esecuzioni di massa e per gli interrogatori sotto tortura dei dissidenti politici durante la grande epurazione effettuata dal ministero degli interni sovietico.
Secondo Andrei Soldatov, uno dei più famosi giornalisti investigativi russi, nel carcere di Lefortovo da un paio di settimane vi è rinchiuso anche uno degli uomini più potenti della Federazione russa: Sergei Beseda, Direttore del 5° servizio dell’FSB, una divisione d’élite creata dallo stesso Vladimir Putin più di venti anni fa. Con lui, accusato di tradimento per la fuga di informazioni verso la CIA e per la sua inefficienza nell’anticipare la resistenza ucraina, sono stati arrestati o sospesi dalle loro funzioni oltre 150 agenti dell’intelligence, accusati di appropriazione indebita e dissipazione dei fondi stanziati da Putin sin dal 2014, (circa 10 miliardi di dollari USD) per la preparazione della guerra lampo per la presa del comando dell’Ucraina. Sin dalla sua creazione, l’obiettivo primario del Quinto servizio è consistito nel mantenere l’influenza di Mosca nelle ex repubbliche sovietiche, reclutando agenti ed assicurando informazioni e sostegno al Cremlino. Oltre al 5° servizio, nel mirino di Vladimir Putin c’è finito anche il generale Sergei Shoigu, tra i primi a sentire sulla propria pelle l’ira del presidente russo quando ha realizzato quale fosse la situazione reale dell’invasione Ucraina.
L’improvvisa e prolungata assenza dai briefing del Cremlino del generale Shoigu, ministro della Difesa, presidente del Consiglio dei ministri della difesa della CSI, pilastro dell’invasione Ucraina, grande amico e stretto alleato del presidente Putin sin dal 2012, ha subito fatto pensare ad una sua destituzione e, se le indiscrezioni si rivelassero vere, confermerebbero i sospetti di una grande spaccatura tra il capo del Cremlino sempre più isolato ed i suoi più stretti consiglieri e capi militari. Sospetti di tensioni tra Putin e Shoigu erano già stati evidenziati dall’intelligence statunitense alla fine di marzo a causa della lentezza dell’avanzata russa in Ucraina, tensioni che sarebbero definitivamente esplose quando Putin ha appreso l’entità delle perdite russe. Le forze armate ucraine sostengono che oltre 20.000 soldati russi sarebbero stati uccisi dall’inizio dell’invasione il 24 febbraio, e anche le più prudenti stime occidentali suggeriscono che le perdite russe ammontino ad oltre 10.000 unità.
Numeri non confermati ovviamente, così come non lo sono le informazioni che darebbero il generale Shoigu ricoverato in terapia intensiva dopo essere stato vittima di “un improvviso attacco di cuore” che secondo l’ex magnate dei media e alto dirigente petrolifero israelo-russo Leonid Nevzlin, “non può essersi verificato per cause naturali”, suggerendo che l’alleato di lunga data di Putin potrebbe essere stato vittima di un tentativo di assassinio. In effetti il generale Shoigu è stato visto l’ultima volta il 13 aprile in una videoconferenza con Putin e altri ministri sullo sviluppo dell’Artico, ma non ha mai parlato, e tra gli esperti che hanno potuto analizzare il video c’è l’ipotesi che il Cremlino stia utilizzando filmati di Shoigu registrati in precedenti apparizioni pubbliche.
Tutti eventi che confermerebbero i sospetti dell’intelligence statunitense che sostengono l’esistenza di un violentissimo scontro interno al Cremlino che vedrebbe il presidente Putin sempre più isolato e tenuto all’oscuro degli sviluppi dell’invasione dai suoi consiglieri, dall’intelligence militare estera (GRU) e dai più alti generali dell’esercito.
L’ESCALATION DA “OPERAZIONE MILITARE SPECIALE” A “GUERRA”
In questo scenario, il presidente Putin, indebolito ed in difficoltà, potrebbe modificare la sua strategia attribuendo al presidente Biden la responsabilità dell’escalation per aver annunciato nuove forniture per 800 milioni di dollari in carri armati, elicotteri, droni e sistemi d’attacco all’esercito ucraino, permettendogli così di elevare l’”operazione militare speciale” (conflitto per risolvere su scala limitata lo scontro condotto all’interno del territorio di un singolo Stato confinante), in una “guerra locale” (conflitto in cui le parti belligeranti operano all’interno dei confini degli Stati in guerra e perseguono obiettivi politico-militari limitati). Un’escalation che trarrebbe forza anche dall’apparente consenso interno di cui godrebbe il presidente Russo e sostenuto dalla propaganda del viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, che ha dichiarato: “la Russia considera i mezzi statunitensi e della Nato che trasportano armi in Ucraina come obiettivi militari legittimi. I tentativi degli Stati Uniti e dei paesi occidentali di rallentare l’operazione speciale russa in Ucraina saranno stroncati”.
Con l’escalation da “operazione militare speciale” a “guerra” il presidente Putin potrebbe mobilitare i russi a livello nazionale per garantirsi arruolamenti e rinforzi necessari per la conquista del Donbas e del sud dell’Ucraina, ma soprattutto potrebbe giustificare alla propria opinione pubblica la distruzione delle città, i massacri di civili e l’eventuale impiego di missili balistici ed armi nucleari.
FINO A QUANDO LA CINA SOSTERRÀ LA GUERRA IN UCRAINA ?
L’escalation è un’opzione politicamente e militarmente molto azzardata con implicazioni incalcolabili che non tutti al Cremlino condividono, ma che il presidente Putin potrebbe perseguire se grazie all’intenso lavoro diplomatico che sta svolgendo il suo fedelissimo ministro degli Esteri Sergej Lavrov, continuerà ad avere il supporto incondizionato del suo potente alleato Xi Jinping.
Sostegno politico che la Cina fino ad oggi non gli ha mai fatto mancare, nonostante la guerra di aggressione e la carneficina di civili. Pechino sin dall’inizio ha abbracciato la narrazione russa ed i prodotti che la Russia esporta, petrolio, gas, cereali sono certamente quelli che fanno più gola alle imprese cinesi che stanno approfittando della crisi ucraina per sostituirsi alle imprese europee coinvolte nelle sanzioni alla Russia. Cina e Russia criticano duramente l’alleanza Aukus, si oppongono all’espansione della Nato e all’indipendenza dell’isola di Taiwan. Ma fino a che punto Pechino deciderà di supportare la guerra in Ucraina lo decideranno le ripercussioni sul proprio soft power in Occidente e sulla propria crescita economica. La Belt and road Initiative è praticamente bloccata in Europa e se Pechino associasse in maniera indissolubile la propria politica a quella della Russia potrebbe pesantemente pregiudicare la propria economia, compromettendo anche la posizione del Segretario Xi Jinping al XX congresso nazionale del partito comunista cinese che si svolgerà a novembre.
Di Francesco D’Arrigo. (Start Magazine)